Il nostro tempo non ha interesse per la parola, non la riconosce più, la ignora. Ci si interroga dove sia finita e in quale epoca ci troviamo se è venuta meno la parola che plasma l’uomo in tutti i suoi aspetti e rende l’umanità trasparente. Un secolo, il nostro, prudente e con un forte senso di provvisorietà in cui manca l’immediatezza e la dimestichezza della parola e il suo valore individuale e collettivo. La fallibilità della parola oggi riflette una realtà virtuale che nulla ci dice del perché e del come la sua assenza è così sentita.
Da che parte cercare la parola che sempre meno si condivide e manca anche come semplice mezzo di comunicazione. Non ci si addentra in una spiegazione storica andando a ritroso quando, intorno a due milioni di anni fa l’homo habilis, il primo essere vivente, ha iniziato a parlare, e non si cer-cano risposte nella retorica e nella semantica, si indaga piuttosto sulla parola che dice e segue i pen-sieri, le emozioni, i sentimenti.
Proprio in questi tempi bui si impara quanto l’uso e la divulgazione della parola siano un sapere essenziale, anche di quella che non è più in auge. Nel mondo disgiunto che viviamo la parola è priva di un pensiero forte, ha perso il suo eclettismo e le manca la memoria. In effetti si è rotta la logica ciceroniana dell’omnium regina rerum oratio, la connessione con il passato che predispone al futuro. Il nostro approccio che preserva la certezza storica del nostro esistere, in tempi di pace, in tempi di guerra.
Nella VII Lettera Platone dice «[…] mi vergognavo […] di rilevarmi a me stesso uomo capace solo di parole, ma inconcludente sul piano pratico», dando così importanza e valore alla parola, temendo che praticarla fosse poco utile e comprensibile. Quell’ordine conoscitivo all’origine, pone la parola al primo posto non solo a conferma della sua titolarità, ma della sua stretta connessione al pensiero.
La parola è stata oggetto di studi critici ed è vasta la letteratura, soprattutto dal punto di vista filosofico-linguistico, come nel testo di John L. Austin, Come fare cose con le parole dall’approccio filologico, tecnicista, volto allo studio del linguaggio operativo e della struttura della frase, dove la parola è descritta solo come una parte del linguaggio.
La decretata fine del racconto oggi corrisponde alla fine della parola. Significa che la narrazione degli accadimenti storici a scadenza è in crescita e che, come abbiamo svalutato ogni cosa, così abbiamo svilito la parola, bene immateriale, fatto di logos e di ispirazione. Che siamo nel tempo dell’intorpidimento della parola, ci si accorge dai guasti della società, ormai eclatanti. Se la parola è silenziata, non nel senso semantico, ma nella sua funzione etica, vuol dire che la sua potenza è nulla e la sua dignità va ripristinata.
Il poeta è colui che si prende cura della parola. Nei versi vola alta parola, Mario Luzi afferma la vastità della parola e la prolunga nel tempo, fino all’ultimo palpito, continuando il libro iniziato da Orfeo e Omero: «non separarti/ da me, non arrivare, / ti prego, a quel celestiale appuntamento/ da so-la […] sii luce, non disabitata trasparenza…». Quasi una preghiera che testimonia il legame unico che il grande poeta ha con la parola che incita a rimanere accanto a lui ancora e sempre.
Per Gadamer «è la poesia che parla meglio attraverso l’ascoltatore, lo spettatore – o anche solo il let-tore – piuttosto che attraverso chi parla realmente» e, soprattutto, «ove risuona una parola è stata evocata un’intera lingua e tutto ciò che questa è in grado di dire», riferendosi a quello che la dice, che la sa dire.
Le parole, oggi, possono diventare più strategiche che mai, perché, afferma Martin Buber nel suo libro Immagini del bene e del male, i due artefici, il bene è «buono, nell’intenzione, nella parola e nell’opera» e il male è «male nell’intenzione, nella parola e nell’opera». E, quando l’umanità è in una situazione tragica, la parola che si trova nelle due parti opposte, deve essere messa al centro, perché si deve credere nell’«esperienza della parola».
Il poeta si veste di parole e cerca la verità che si trova dietro la parola, introspettiva, descrittiva, comunicativa. Testimonia la propria metafora che scopre le cose nascoste e ha la generosità di usare la parola come domanda e la parola come risposta. Nel linguaggio parlato le parole poetiche un tempo erano presenti e davano all’eloquio una universalità attraverso la citazione dei versi della Divina Commedia mentre nei paesi slavi, erano tratte dal canto popolare.
Se non si usano, le parole perdono il loro significato e si dimenticano. Un giorno qualcuno, in un futuro lontano potrebbe recuperarle, per curiosità, ma sarebbero contestualizzate, perderebbero la loro contemporaneità, non più restituibile.
Il mondo è regolato dalla parola e occorre che anche la nostra epoca assegni ad essa un ruolo dominante, perché le parole formano le nuove generazioni e attivano le scuole di pensiero. C’è bisogno di dare un senso alla parola, una conferma del nostro tempo per recuperare il passato e strutturare il presente attraverso parole non dette, e sono tante.
Letture
John L. Austin, Come fare cose con le parole, Marsilio, 1986
Martin Buber, Immagini del bene e del male, Ed. di Comunità, 1965
Hans-Georg Gadamer, Verità e metodo, Bompiani, 2000
Platone, Lettere, Rizzoli, 1986