È probabile un rientro dello Stato attraverso Cassa Depositi e Prestiti nel capitale di Autostrade per l’Italia togliendone il controllo, in seguito alla tragedia del Ponte Morandi, ad Atlantia, la holding controllata dalla famiglia Benetton. Ed è probabile anche il rientro dello Stato, sempre attraverso Cassa Depositi e Prestiti, nel capitale di Ilva il cui destino, come quello di Taranto che dell’Ilva è ostaggio, non ha ancora trovato pace. Ambedue, Autostrade e Ilva, che erano parte della galassia Iri, furono privatizzate negli anni ’90 del secolo scorso, per ridare fiato alle casse esauste dello Stato e in ossequio alla corrente di pensiero che allora si imponeva, il pensiero unico della concorrenza e del mercato sopra ogni cosa.
Ma il pendolo oscilla e in questa fase, dopo trent’anni di liberismo senza se e senza ma, si torna verso un ruolo attivo dello Stato nell’economia. Non è uno degli effetti collaterali del Covid, l’ideologia del mercato aveva già mostrato le sue crepe e fatto i suoi danni, a cominciare dal più gravido di conseguenze, la crisi finanziaria scatenata dal fallimento di Lehman Brothers.
Come sempre il troppo non fa bene a nessuno, e se lo Stato non è il diavolo e il mercato non è sempre la soluzione lo stesso vale anche per il contrario.
L’esperienza lunga dello stato imprenditore prima e del mercato padrone dopo ci insegnano, con successi e fallimenti da tutte e due le parti, che l’approccio ideologico non è quello giusto e che né gli statalisti né i mercatisti hanno ragione. C’è la realtà con la quale fare i conti e la necessità di analisi e di pazienza per trovare la soluzione migliore caso per caso, momento per momento. Il problema è migliore per chi? È lo snodo sul quale si misurano i poteri e gli interessi, travestendo quasi sempre le ragioni di portafoglio sotto quelle opportunisticamente utilizzate di principio.
Ma anche un approccio pragmatico e neutrale rispetto agli interessi in gioco alla domanda migliore per chi? non può sfuggire, anche perché è la risposta a quella domanda che dà un senso al pragmatismo. La risposta più larga è della società, della quale l’impresa è un motore importante.
La società ha interesse che l’impresa sia sana e ben gestita, perché se è sana e ben gestita garantisce occupazione stabile ed è in grado di investire in innovazione, ovvero di porre le premesse per la sua durata nel tempo. La società ha anche interesse che l’impresa rispetti le regole, non danneggi l’ambiente, non crei costi collettivi indiretti per massimizzare il suo profitto: il compito di vegliare su tutto ciò ricade sullo Stato attraverso le sue strutture.
Ma non è finita. C’è il futuro del paese da disegnare, e nel caso di alcune attività chiave quella che si chiama politica industriale, troppo a lungo abbandonata, potrebbe e dovrebbe avere un ruolo. Per fare un esempio concreto: è importante che l’Italia, paese trasformatore con una industria meccanica importante produca ancora acciaio? E, se la risposta è sì come io ritengo, qual è il modo di produrlo compatibile con la salute delle persone, la tutela dell’ambiente e rispettando i vincoli dell’economia (cioè non in perdita)? Quali sono i risvolti sociali e occupazionali della soluzione individuata? E ancora: ci sono privati disposti a investire in un progetto del genere offrendo le necessarie garanzie?
Domande simili valgono per le autostrade, per le telecomunicazioni (avremmo una copertura di rete migliore e più capillare se Telecom fosse stata gestita dallo Stato?) e per molti altri settori.
Lo Stato in linea di massima ha il compito di creare un ambiente favorevole all’impresa e all’innovazione e il dovere di creare un sistema di regole che tuteli l’interesse collettivo e di garantire che vengano rispettate. Può però anche diventare attore nei casi in cui il mercato non sia in grado di fare interventi necessari a favorire lo sviluppo complessivo o non sia pronto ad aprire nuove strade.
Perché il suo intervento abbia un senso e sia costruttivo e non occasionale dovrebbe avere dietro una visione per il paese e un progetto per realizzare quella visione. Progetto e visione dei quali al momento non c’è traccia.