Louise Glück, l’eternità del quotidiano

Louise Glück, con il premio Nobel per la Letteratura entra nell’olimpo della Poesia, ma il suo nome era presente in quella traiettoria dei grandi poeti che si riconoscono già dalla pubblicazione della prima raccolta che per lei fu Firstborn ( Primogenito), uscita nel 1968, dallo stile stringato e allusivo. A seguire escono The Garden (Il giardino, 1980), The Triumph of Achilles (Il trionfo di Achille, 1985).

Nel 1992 ha ricevuto il premio Pulitzer, nel 2004 è Poet Laureate e nel 2014 ha ricevuto il National Book Award per il Faithful and Virtuous Night (Notte fedele e virtuosa), a conferma di una poesia antologizzata e di una creatività poetica costante e innovativa. Ha pubblicato dodici raccolte di poesia e due di queste sono state tradotte in italiano: L’iris selvatico (Edizioni Giano, 2003) e Averno (Dante & Descartes, 2006).

Quindi, non ha sorpreso i lettori, come titolavano i giornali dopo l’annuncio dell’Accademia di Svezia, e la motivazione del premio non lascia dubbi sulla potenza della parola poetica della Glück, definita «indimenticabile voce poetica che con austera bellezza sa rendere universale l’esistenza individuale».

La poetologia americana – e non parlo della sua storia della letteratura contemporanea -, occupa una posizione prestigiosa che un tempo, ormai lontano, aveva avuto e, meritatamente, la poesia slava. Negli ultimi decenni c’è un numero rilevante di poeti americani che annovera, oltre a Louise Glück, poeti come Charles Simic, Anne Sexton, J. D. Mcclatchy, Robert Pinsky, Jorie Graham, Rita Dove, solo per citarne alcuni.

Sono loro che oggi, con pudore antico e lessemi nuovi, difendono l’umanità dalle brutture del nostro vivere. Si è creata una consonanza di tematiche su uno sfondo di una società che esprime la sua «mortal lingua» poetica, per dirla con Leopardi e non una «madre lingua» – distinzione obsoleta che permane nella terminologia italiana. La Poesia parla una sua propria lingua.

Quanto poi alla diffusione della poesia, essa dipende dagli storici della letteratura e dai grandi traduttori – di solito sono poeti a tradurre altri poeti e si trovano «nel miracolo della parola», come ebbe a dire Ungaretti, traduttore di Blake e come io stessa ho sperimentato traducendo Ivo Andrić quando sentivo la comune koinè bosniaca e pensavo in italiano.

Il profilo poetico di Louise Glück è associato al quotidiano e ad Ellade eterna patria, alle cose vissute e al tragico mito, un tocco autoreferenziale di cui ogni poeta si nutre. Louise Glück utilizza tutti i sensi per accogliere i fiori del giardino; giova qui ricordare che, già nell’antichità, era aperto anche alle donne e agli schiavi. Il presente e il passato si intersecano, l’oggi è presente quanto l’antico mito, sinonimi di un apparente e cercato «beate vivere» per i colori e per gli odori. L’esaltazione dei fiori del giardino che la Glück riscopre, non è altro che il viaggio terreno, evoca il mistero del «giardino di simboli» di Mircea Eliade.

L’altro tema è la viva presenza del mito greco-romano di Averno e di Proserpina, dea fanciulla che Plutone trascinò con sé negli inferi, che si palesa nel desiderio della poetessa di tramandare ai posteri, come nel tragico mito, la sua non arrendevole fragilità.

La poesia di Louise Glück è una poesia ispirata, dei sempre meno, quella della compiutezza compositiva e del nitore formale, puntualmente osservati che, con lampi di ritmo e di suono, donano alla lingua una concretezza metaforica nuova.

La Glück appartiene a quel numero di eletti che tiene stretta l’esperienza della parola e teme solo, come pensava Rilke che «nominando la cosa la si uccidesse».

È una rappresentazione della poesia quella di Louise Glück dei grandi temi che rafforzano il ritorno all’umanesimo – l’inesauribile fonte simbolica di ogni tempo -, resa in una lingua che riflette la contemporaneità.


Nostos
There was an apple tree in the yard –
this would have been
forty years ago — behind,
only meadows. Drifts
of crocus in the damp grass.
I stood at that window:
late April. Spring
flowers in the neighbor’s yard.
How many times, really, did the tree
flower on my birthday,
the exact day, not
before, not after? Substitution
of the immutable
for the shifting, the evolving.
Substitution of the image
for relentless earth. What
do I know of this place,
the role of the tree for decades
taken by a bonsai, voices
rising from the tennis courts –
Fields. Smell of the tall grass, new cut.
As one expects of a lyric poet.
We look at the world once, in childhood.
The rest is memory.

 

Nostos
C’era un melo nel cortile –
questo sarà stato
quarant’anni fa – dietro,
solo campi. Macchie
di crochi nell’erba umida.
Stavo in quella finestra:
fine aprile. Fiori
primaverili nel cortile del vicino.
Quante volte l’albero fiorì,
davvero, al mio compleanno,
proprio quel giorno, non
prima, non dopo? Sostanzialmente
dell’immutabile
per ciò che scorre, che evolve.
Sostituzione dell’immagine
per la terra spietata. Cosa
so di questo luogo,
il ruolo dell’albero per tre decenni
assolto da un bonsai dai campi di tennis –
Prati. Odore di erba alta, appena tagliata.
Come ci si aspetta da un poeta lirico.
Guardiamo il mondo una volta, nell’infanzia.
Il resto è memoria.

(La traduzione in italiano è di Massimo Bacigalupo)

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