Lucrezia, il nome liberato

Lucrezia è un nome forte nella cultura italiana ed europea: nome che suscita orrore e pietà in egual misura, così potente nella sua tragica evidenza da condensare attorno a sé una serie di associazioni luttuose, di stereotipi. Due figure dalla personalità opposta diedero i loro caratteri a questo nome: Lucrezia romana, moglie di Collatino oltraggiata da Sesto Tarquinio, figlio del Superbo e Lucrezia Borgia, figlia di Rodrigo Borgia, papa Alessandro VI. Le due figure a un certo punto furono associate nel nome, che assunse le caratteristiche di entrambe. La contaminatio nacque nella corte rinascimentale di Ferrara; la demonizzazione di Lucrezia Borgia parte dal teatro romantico senza basi storiche, in un secolo che pure aveva affermato l’importanza della storia. Dopo gli studi di Ferdinand Gregorovius, Maria Bellonci, Sarah Bradford, Geneviève Chastenet, Gabriella Zarri e altri, dopo le mostre ferraresi (Lucrezia Borgia, 2002; Lucrezia duchessa di Ferrara, 2019) e la mostra parigina (Les Borgia et leur temps, 2014) corredate da nuovi studi, il nome di Lucrezia chiede ancora di essere studiato e liberato.

Nel teatro romantico europeo Lucrezia appare come femme fatale nel testo di Victor Hugo, Lucrèce Borgia (1833), adattato da Felice Romani per la Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti: nell’opera lirica la Lucrezia di Hugo assume tratti più morbosi ma degni di compassione. Una ricerca dello storico inglese William Roscoe (1805) invitava a uno studio più documentato sul personaggio. La sua Dissertazione sul carattere di Lucrezia Borgia è chiara: «Se Lucrezia nell’antica Roma ha formato la gloria del suo sesso, una Lucrezia in Roma moderna si reputa averne formato l’obbrobrio. Lucrezia Borgia è stata accusata di una grande depravazione di costumi, e ciò nonostante molte circostanze fanno dubitare che quell’odioso rimprovero non sia ben fondato». Roscoe nota che «tra i vizi, che in quel tempo regnavano, sono particolarmente osservabili la menzogna, e la calunnia». Studi del Campori (1866), di Emma (Emilia Ferretti Viola, 1874), del Gregorovius (1874) indagano sul personaggio storico, vittima della volontà paterna e fraterna, come appare nel dramma in versi di Pietro Cossa, I Borgia (1878).

Femme fatale o Belle dame sans merci, l’immagine di Lucrezia Borgia si codifica nel teatro romantico come diabolica, degna di pietà in Donizetti, ma esecrata come simbolo del male sulla scia di Hugo. Dopo Gregorovius (Lucrezia Borgia secondo documenti e carteggi, Le Monnier, Firenze 1874), i testi della Bellonci (Lucrezia Borgia, Milano, Mondadori 1939), della Bradford (Lucrezia Borgia, Mondadori 2005), della Zarri (La religione di Lucrezia Borgia, ed. Roma nel Rinascimento 2006), con le lettere inedite del confessore di Lucrezia, fra’ Tommaso Caiani, daranno nuovi tratti a un personaggio troppo a lungo lasciato privo di aggiornamento documentario. Fra’ Tommaso, fedele a Savonarola, accompagnò Lucrezia nell’ascesi mistica dal 1514 al 1519: la sottrasse alla fama dei legami oscuri con padre e fratelli, esibita dai drammi in prosa e in musica. Gli anni ferraresi di Lucrezia sono la sua Vita nova, iniziata nel 1502, quando sposa Alfonso d’Este, e finisce il 24 giugno 1519, quando muore di parto a trentanove anni dopo aver dato alla luce l’ottava creatura, Isabella Maria. In quel tempo Lucrezia trasformò la corte di Ferrara, arricchendo la città di grandi opere e nuovi percorsi, accolse studiosi di tutto il mondo, durante la peste vendette i suoi gioielli per aiutare il popolo in difficoltà, guadagnandosi stima e affetto.

Dagli Spectacula lucretiana, feste romane per le nozze di Lucrezia e Alfonso, narrate da Giovan Battista Cantalicio, fino alla morte Lucrezia Borgia coltiva rapporti affettivi e culturali (fra cui quello con Pietro Bembo), che sarebbe superficiale ascrivere all’immagine di libertina avvelenatrice. Le lettere che Lucrezia scambia col Bembo tra il 1513 e il 1517 rivelano sensibilità, cultura, intelligenza appassionata. La dedica originaria degli Asolani, citata solo in alcune edizioni, è un documento significativo del legame tra il poeta e la duchessa di Ferrara, coi timori del Bembo sui rischi di quell’affetto. Nell’edizione manuziana del 1505 gli Asolani datano la dedica all’agosto 1504. Il poeta invia a Lucrezia il suo libro sull’amore in forma di prosimetro (come la Vita Nova) con un elogio pari a quello di Dante per Beatrice: la invita a leggere «Sì come quella che vie più vaga d’ornare l’animo delle belle virtù, che di care vestimenta il corpo, quanto più tempo per voi si può, ponete sempre o leggendo alcuna cosa o scrivendo».

Certo non basta far sparire questa dedica per nascondere i sentimenti del Bembo, affidati ai versi degli Asolani e delle Rime. Il Bembo cardinale, ormai lontano da Ferrara e legato a Lucrezia Borgia da un patto d’amore platonico, si identifica in quel Tarquinio vinto dalla passione amorosa al punto da perdere tutto: l’eco dantesca si prolunga in un «affettuoso grido» pronunciato da Perottino negli Asolani: «Certissima cosa è che di tutte le turbazioni dell’animo niuna è così notevole, così grave, niuna così forzevole e violenta, niuna che così ci commuova e giri, come questa fa, che noi Amore chiamiamo». Nella corte ferrarese Lucrezia è la Duchessa e la Musa ispiratrice: i rarissimi ritratti ne documentano la personalità: il Ritratto della Beata Beatrice II d’Este (1505-10) di Bartolomeo Veneto ritrae una Lucrezia dal sorriso enigmatico, con un paesaggio sullo sfondo simile a quello della Gioconda, appena dipinto da Leonardo (1503-5). L’opera chiude la parabola di Lucrezia da donna fatale a Beata Beatrice. Bartolomeo Veneto dipinse anche Flora, simbolo della forza vitale della natura, con la fisionomia di Lucrezia Borgia. Un ritratto di G. Antonio Leli da Foligno (1512, su targa d’argento) incide Lucrezia moglie affettuosa che accoglie il duca al ritorno dalla guerra e rende grazie a san Maurelio per averlo salvato proteggendo Ferrara. L’immagine più inquietante è dipinta da Dosso Dossi pochi anni prima della morte di Lucrezia: un fantasma nei panni di Santa Lucrezia di Mérida.

Il Pinturicchio aveva dipinto Lucrezia come Santa Caterina: un’immagine artistica con le ambiguità che il personaggio ha assunto dal passato e consegnerà al futuro. Nel ’500 la scoperta della Prima Deca di Tito Livio, che narra l’episodio-pretesto per la cacciata degli Etruschi da Roma, è commentata dal Machiavelli, che le dedica i Discorsi (1513-17) mentre scrive il Principe (1513-14) con la forte presenza di Cesare Borgia. La Mandragola, poi, (1518) propone in teatro la figura di Lucrezia, moglie insoddisfatta, senza prole, spinta dalla famiglia e dalla Chiesa a ordire una beffa contro l’anziano marito: questa figura unisce i caratteri delle due Lucrezie. Non va dimenticata, nell’ibridazione tra Lucrezia romana e l’immagine della donna che obbedisce alle leggi di natura e passione, la novella di Enea Silvio Piccolomini (papa Pio II), De duobus amantibus (1443): la protagonista dell’adulterio si chiama Lucrezia. L’immagine della Borgia s’intreccia con quella di Lucrezia romana anche in una novella del Bandello (XXI, Novelliere, II) e diviene personaggio della Commedia dell’Arte con L’alchimista di Bernardino Lombardi e L’Amant indiscret di Philippe Quinault, dove Lucrèce ricalca la Mandragola.

La metamorfosi delle due Lucrezie in unico personaggio del teatro romantico parte dalla Prima deca di Tito Livio: La matrona romana Lucrezia, oggetto di scommessa da parte del marito, poi di stupro da parte di Sesto Tarquinio, sotto minaccia subisce violenza e organizza subito dopo un teatrale suicidio: crea la scena della propria morte, convocando una platea al proprio capezzale, pronunciando un discorso sulla propria esemplare condotta. Questa posa diverrà una costante, che guiderà il personaggio verso le metamorfosi successive.

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A questo tema Giusi Baldissone ha dedicato due libri, Il nome delle donne. Modelli letterari e metamorfosi storiche tra Lucrezia, Beatrice e le Muse di Montale (Franco Angeli, Milano 2005) e Nomi femminili e destini letterari (Franco Angeli, Milano 2008).

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