Quando muore un grande personaggio come Maradona, la cosa più triste è assistere alle celebrazioni che i media organizzano nelle ore e nei giorni successivi alla notizia. Sono quasi sempre costruite frettolosamente oppure coccodrilli già pronti, farcite di retorica e luoghi comuni a cui partecipano anche personaggi che non hanno nulla da dire, se non affermare la propria presenza e il proprio ruolo, come ci ha ben dimostrato il Post del Tg2 del giorno della scomparsa di Diego.
Maradona, tuttavia, senza poter sfuggire del tutto a questo destino, ha goduto anche in occasione della sua morte di un vantaggio. Nei lunghi anni successivi all’uscita dal calcio giocato, in quella sua lunga, contrastata, altalenante ma inesorabile discesa verso la fine, aveva già avuto le sue celebrazioni più importanti, i monumenti più belli senza bisogno di aspettare il dopo.
Il ricordo va sicuramente prima di tutto al ritratto fatto da Kusturica nel suo film, a quel fiume di immagini e parole così autentiche, sorprendenti, iperboliche, persino profetiche. Ma personalmente ho assistito a una di queste celebrazioni, ancora più originale e se permettete ve la racconto. Verso al fine degli anni Novanta un bravissimo collega fiorentino, Siro Ferrone, un luminare degli studi sulla storia del teatro, aveva ideato un singolare appuntamento annuale, un incontro in cui riflettere sulle analogie tra l’evento sportivo e la messa in scena teatrale. Si intitolava Drammaturgia dello sport e vi partecipavano accademici, studiosi, scrittori, giornalisti, atleti e tecnici. Si svolgeva nel teatro di Anghiari, uno di quei gioielli architettonici di cui è ricca l’Italia, un teatro minuscolo e meraviglioso, quelli che si definiscono solitamente una bomboniera, con una metafora che non amo ma a cui in questo caso non posso rinunciare per l’assonanza con l’altra Bombonera che tanto ha significato nella vita di Maradona.
Dunque in uno di quegli incontri, un pomeriggio, Lamberto Maffei, il grande scienziato all’epoca direttore dell’istituto di neuroscienze del CNR, parlò dell’intelligenza, spiegando come accanto all’intelligenza logico-razionale gli studi avessero scoperto il funzionamento di altri tipi di intelligenza, tra cui quella motoria che «si esprime per mezzo di gesti, della mimica, dei movimenti degli arti, dei muscoli che sono meri esecutori delle decisioni dei neuroni e che appartiene ai grandi attori, ai mimi o anche agli abili chirurghi, ai grandi atleti».
Il cervello esemplare di questa dimensione a cui Maffei dedicò la sua analisi era quello di Dario Fo, fresco vincitore del Nobel. Ma subito dopo accadde una coincidenza singolare. Jorge Valdano, ex calciatore compagno di Maradona in nazionale, poi dirigente sportivo in Spagna e scrittore, che non poteva essere presente, fece pervenire la sua relazione dedicata al «gol più bello del mondo», ovviamente quello segnato da Maradona all’Inghilterra, il secondo dopo quello un po’ furbesco e antisportivo realizzato con la mano. La relazione di Valdano era un’analisi dettagliatissima dei movimenti di Maradona in quella celebre azione, in cui supera, prima di mettere in rete il pallone, mezza squadra inglese. Il primo movimento è una finta di corpo, una giravolta con cui spiazza, ancora nella sua metà campo, tre avversari che cercavano di pressarlo. Poi, arrivato sulla tre quarti inglese, supera in velocità il difensore che lo affronta, infine all’ingresso dell’area salta in dribbing un ultimo avversario. A quel punto di trova di fronte alla porta, un po’ decentrato sulla destra, sinistra per il portiere che uscendo gli chiude quasi tutto lo specchio. Insomma, non può più tirare. Per sua fortuna però ben due compagni hanno seguito l’azione e sono piazzati al centro dell’area, davanti alla porta spalancata: uno è proprio Valdano. Basterebbe un tocco con il suo magico sinistro per mettere fuori causa il portiere e consegnare a uno dei compagni un pallone che può mettere in rete anche un bambino. Così suggerirebbe l’intelligenza logico-razionale, così facendo, lasciando l’onore del gol a un compagno, confermerebbe anche la sua ben nota generosità in campo, il suo ruolo di leader riconosciuto e amato da tutta la squadra. Invece Maradona fa un’altra cosa, più difficile, più rischiosa, che potrebbe rovinare tutto o diventare “il gol più bello del mondo”.
Tocca di destro così morbidamente da superare il portiere dall’altra parte, dove c’è poco spazio prima della linea di fondo, tiene il pallone incollato al piede e lo infila tra paolo e portiere. Una scelta incomprensibile, irrazionale, illogica anche per Valdano che aspettava il più comodo dei palloni davanti alla porta spalancata, ma la scelta che ha reso possibile il capolavoro assoluto che ancora oggi ricordiamo e indentifichiamo con l’autore. Della scelta, fatta in un millesimo di secondo, erano responsabili – aveva spiegato Maffei nella relazione precedente – «i milioni di neuroni attivi nell’area motoria di un cervello», allo stesso modo di quelli che consentivano a Dario Fo di mettere in scena il suo celebre grammelot. Credo che non ci possa essere nessuna celebrazione di Maradona più bella di questa a cui ho assistito tanti anni fa in una bomboniera che non era lo stadio del Boca.