Mastroianni e Vitti, il cinema (e i documentari)

Nell’arco di una decina di giorni la Rai ha trasmesso due bei documentari affini per tema.

Il primo è andato in onda sulla seconda rete il 28 ottobre in prima serata ed era dedicato a Marcello Mastroianni nel venticinquennale della scomparsa. Si tratta di una produzione francese della famosa catena Arte. Il titolo, Mastroianni, l’italiano ideale, suggerisce bene il tono e il percorso del doc che attraverso filmati e interviste dell’attore e di chi lo conosceva bene (in particolare la prima figlia Barbara) ha cercato di spiegare il mistero di quest’uomo tanto mitizzato, divinizzato dai media e dal pubblico quanto umano, normale, simpatico, disponibile, alla mano con tutti nella vita reale.

I suoi interventi recuperati in vari archivi, oltre a quelli di amici, colleghi e semplici addetti alla produzione dei film si sono dedicati in maniera spiritosa e acuta a confrontare il mito del latin lover con la realtà di un attore molto bravo nell’interpretare i personaggi in virtù di uno straordinario talento naturale e di una solida scuola teatrale.

Il secondo documentario, messo in onda sempre in prima serata su Rai tre venerdì 5 novembre era dedicato a Monica Vitti nel giorno del suo novantesimo compleanno. Reca la firma di Fabrizio Corallo autore non nuovo a questo tipo di lavori (suo l’analogo prodotto su Alberto Sordi) e, a dispetto del titolo poco felice, Vitti d’arte, Vitti d’amore, propone un’interessante rilettura biografica dell’attrice dai suoi esordi nel teatro leggero in giovanissima età, allo straordinario periodo della tetralogia antonioniana, al grande successo nelle commedie degli anni settanta fino ai suoi esordi alla regia in età matura.

Ricchissimo di testimonianze, di brani di film, di brevi interventi di critici e attori (forse persino troppi), il documentario procede in maniera sempre più convincente nel suo percorso di scavo nella personalità attoriale della Vitti, senza trascurare alcun dettaglio ma senza mai tendere all’inutile gossip.

Ora esiste un racconto assai diffuso (leggenda metropolitana?) che parla insistentemente della popolarità di questi due personaggi, dell’amore che ancora li circonda, del rimpianto per quei grandi attori e per quel grande cinema italiano nei confronti del quale quello odierno scompare.

Tutto ciò, se non è una leggenda (io francamente non saprei) avrebbe dovuto garantire ai due documentari un ascolto se non altissimo (le serate presentavano una notevole concorrenza sulle reti della stessa Rai), almeno dignitoso. Tanto più che il pubblico televisivo delle reti pubbliche è composto in prevalenza da persone non giovanissime, che di quel cinema italiano e dei suoi straordinari interpreti dovrebbero conservare qualche memoria e subire un certo fascino. Ebbene questi sono i dati Auditel: per Marcello Mastroianni 648.000 di audience con il 2,7% di share; per Monica Vitti poco meno di 600.000 di audience e 2,6% di share.

Credo valga la pena di fare qualche riflessione.

Lasciamo da parte i piagnistei generici sulla decadenza dei gusti del pubblico televisivo, sui tempi tristi che stiamo vivendo, discorsi che non ci portano da nessuna parte. Ma due ipotesi forse meritano di essere prese in considerazione.

La prima, più pessimistica: forse quel famoso universo di appassionati cultori del cinema italiano, della sua storia, dei suoi capolavori e dei suoi grandi protagonisti non esiste. O è un gruppo molto sparuto, corrispondente un po’ a quello che ancora legge i quotidiani che tanto parlano di quel cinema e poi mette cuori e commenti su facebook per manifestare il suo amore per un divo e una diva alimentando una   dimensione illusoria.

Seconda ipotesi, molto meno catastrofica. In un contesto televisivo come quello attuale caratterizzato da un’offerta infinita e caotica, la proposta di un genere particolare come il documentario va gestita con molta accuratezza e partecipazione. Tanto più se si tratta di un documentario dedicato a un argomento originale, inconsueto per un genere che il pubblico identifica con l’impegno sui temi sociali e dell’attualità.

Prime serate come quelle Vitti e Mastroianni andrebbero promosse con molta insistenza, creando l’attesa per quell’appuntamento speciale, eventizzando, come si dice con un discutibile termine, la proposta, magari incorniciando il documentario all’interno di una serata affidata a un conduttore noto e apprezzato. Forse in questo modo, senza farsi eccessive illusioni, ci si potrebbe allontanare da quel deprimente due e mezzo per cento e far apprezzare a una platea più vasta dei prodotti di valore.

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