L’immagine sulla copertina del libro di poesie L’ultimo pranzo, in traduzione italiana, di Miodrag Pavlović, è la stessa della sua Antologia della poesia serba (Antologija srpskog pesništva) del 1964. Riproporre la stessa immagine era un omaggio dovuto a uno dei più grandi poeti serbi, nonché autore della celebre antologia.
La scelta del titolo della raccolta, invece, è stata una precisa richiesta del poeta e non un errore semantico.
Tutto questo, come se fosse stato prestabilito già al primo incontro e subito dopo la lettera in cui Pavlović mi inviava le sue sei poesie inedite con un gesto di generosità che mi colpì e che mi ha fatto da guida immediata nella lettura della sua poetica. La sua è un’accensione umana e intellettuale in cui riaffiorano i riferimenti e i parallelismi biblici, i segreti del misticismo slavo e ortodosso.
Miodrag Pavlović è nato a Novi Sad nel 1928, ma ha vissuto sempre a Belgrado dove ha svolto la professione di medico e dove diventa prima direttore del Teatro di Belgrado e poi direttore della casa editrice Prosveta. È morto a Tuttlingen, in Germania, nel 2014, dove vivono la moglie e le due figlie.
C’ è un avvenimento che ha segnato tutta la sua vita e l’ha influenzata in modo totalizzante. Il 16 aprile del 1944 Pavlović si stava recando dai parenti della madre; si era appena incamminato verso la loro casa quando sente suonare l’allarme e in un attimo prende la decisione della sua vita e torna indietro. Cinque componenti della sua famiglia morirono nel bombardamento della loro casa.
In mezzo a loro c’era anche il marito della cugina Milica, il poeta Radomir Prodanović – l’«uomo a cui avrei voluto somigliare», dirà in seguito. Era intuitivo e profetico, possedeva la magia balcanica, era lui che gli aveva raccontato il sogno del grande pesce caduto dal cielo che ingoia il camino della loro casa con tutta la famiglia. E tutto era accaduto esattamente come nel sogno. L’essere rimasto vivo diventa un segno del destino e l’intera sua vita la considera come un dono. Un approccio questo con la vita che si riflette nella sua poesia e si fonde in essa.
Dall’esordio di 87 poesie, raccolta pubblicata nel 1952, quando la letteratura jugoslava entra, a pieno titolo, nel modernismo degli anni cinquanta del XX secolo, fino all’ultima raccolta, dopo l’iniziale moto eliotiano, Pavlović definisce appieno l’effetto del suo vissuto.
Da subito era evidente che l’io poetico di Pavlović aveva trovato una collocazione all’interno di un sistema di appartenenza culturale e spirituale al suo popolo, alla sua storia e al mito, con particolare predilezione per il Medioevo quando, come è noto, la politica era tutt’uno con la cultura.
Nella lingua pavloviciana ogni parola ha un suo peso e l’essenzialità è dovuta a emozioni, sentimenti, percezioni e al mistero della creazione, al ritorno all’Origine. Per il poeta l’umanità si è allontanata da sé stessa perché ha perduto la spiritualità: «chi mai sapeva riconoscere/ il proprio posto nella grande rappresentazione/ quando Dio ci stava creando».
Il concetto di spiritualità del poeta va oltre la fede. È necessario risalire anche se non c’è una speranza, non un desiderio. I topoi preferiti sono: desco, banchetto, bosco, pietra e soprattutto pesce – simbolo polivalente dell’acqua, della fruttuosità, della saggezza: «Risalire, dico, come fossimo dei pesci».
E, per trovare ciò che si cerca bisogna inoltrarsi nella grotta e nella stufa, termini dal significato oscuro che si sovrappongono ad un ammonimento – «torna indietro» e ad un insegnamento – «tieniti alla parola», per trovare ciò che si cerca che per Pavlović si riferisce al santo e primo poeta serbo San Sava, che nella poesia Nella quiete di San Sava a Caria è sotto lo stesso tetto con il volto di Cristo: «A volte sento la sua presenza sotto le mie vesti, o è/ il battito dell’arteria sotto la mia lingua. Volentieri si/unisce a me quando m’acquieto».
Il santo in questo canone poetico è considerato un eroe non solo della storia, ma anche dello spirito. È questa la storia poetica che si distingue da tutte le altre, come recita il suo poema L’insegnamento dell’anima, il ritorno all’Origine, allo stato in cui l’anima era in unione con Dio. Poi, una domanda greve – «dove è il tempio che la nostra preghiera mira?».
In queste parole è custodita l’ispirazione della sua poetica in cui i quattro evangelisti indicano il cammino della preghiera e qui il poeta ritorna al discorso sull’anima, la quale non viene data all’atto della nascita, ma si acquisisce nel tempo attraverso l’esperienza.
Per Pavlović l’uomo è invischiato in una rete che ha tessuto da solo con l’approvazione della Divina Provvidenza. Nella poesia Cosmogonia profanata, come se si entrasse nel giardino dei Salmi, il poeta torna alle origini della terra e del cielo da cui si attinge la perfezione mistica e che, si sa, inizia con il mito mos- moris (volontà dell’acqua fluente) e del pesce, già presente sin dalle prime liriche del poeta e che qui assume un valore cristiano e ricorda la parabola della rete gettata in mare (Mt 13, 47).
Ma alla sofferenza dei pesci corrisponde la speranza negli uccelli, i soli che per Pavlović, uomo dalla stirpe medievale, conoscono i segreti del divino.
L’orizzonte di Pavlović si apre al cantico di San Francesco che riconosce agli uccelli le caratteristiche del divino e del misterioso e, rivolgendo gli occhi verso l’Italia, vuole far suo Dante e imparare i colori dal Perugino: «Oltre la luce Intelletto d’amore/ riscoperto ancora, come la gemma/ Il Perugino ha innalzato la bellezza/ perché lo guidasse con disciplina, perché vada/ oltre il rimpianto, oltre gli uomini». Alla fine, tutto si collega alla simbologia teologica e all’io appartenente a Dio/Creatore e guida sicura.
Miodrag Pavlović ha finito di scrivere la sua poesia, ma mai avrà fine la sua preghiera, come si legge ne La preghiera per i monaci del monte Athos dove prega per gli altri e, facendo domande alla luce, s’inebria per ogni cosa della vita.
Ci sarà la salute del futuro. La sola preghiera è migliore di noi
perciò si vedono sollevare la terra, l’aria,
l’acqua e tutti i metalli. Scorgo la resurrezione:
essa inizia ogni mattina e non teme la caduta.
Ogni giorno qualcosa s’innalza
e la salvezza ci sfiora le labbra.
Letture
Miodrag Pavlović, Poesie scelte, a cura di Stevka Šmitran, Quaderni Fondo Moravia, I, 1999, pp. 51-67
Miodrag Pavlović, L’ultimo pranzo, a cura di Stevka Šmitran, Le lettere, 2004
Roland Barthes, Miti d’oggi, Einaudi, 1974
Claude Lévy-Strauss, Mito e significato, Il Saggiatore, 1980