Nascere in una città sul fiume è un privilegio non solo per quel perenne divenire delle cose, ma anche perché ci si appropria delle sue stagioni e si vede un promettente orizzonte speculare.
È una mitofonia che si riaccende durante le feste, quando tutto si guarda a ritroso, una voce, un suono soffuso come quello del mio fiume natio, il Sava.
Il fiume sedimenta la storia della città e la memoria della sua gente, è confine e conserva tutte le caratteristiche identitarie dei due mondi separati che si fondono e moltiplicano le rispettive qualità umane.
L’acqua contenuta nella forma del fiume porta nel suo lento corpo, ricordi, gioie, fallimenti, malinconie delle feste. Molto presto si impara ad avere confidenza con il fiume natio, sostando sulla sua sponda sabbiosa ed erbosa che lo fiancheggia, al fine di trovare un momento di calma.
Seguiamo con meraviglia il suo viaggio attraverso il corso della nostra vita e sembra che si appropri delle nostre cose.
La gente nata nella città sul fiume riceve un monito al quale nessuno si sottrae e che recita con perentoria sapienza: chi impara a nuotare nel fiume natio, saprà nuotare nelle acque della vita.
Ci accompagna in questa nostra affezione, una specie di inconscia ritualità ancestrale di rifugio che si percepisce, si rinnova e non può finire. È una di quelle certezze che infondono serenità per l’immutata bellezza del passato, quando non si pensava al tempo che era appena iniziato.
Il fiume scandisce l’ordine del giorno per la sua sola presenza; si insinua impercettibile anche nell’ordine del mondo di cui ci pervadono le istantanee quando ci imbattiamo nel distopico, nelle astrazioni contemporanee del nulla, come in una di quelle alluvioni di breve durata.
Il mio fiume natio, il Sava, riassume i periodi trascorsi a Bosanska Gradiška (oggi Gradiška) e lì si specchia tutta la mia realtà di oggi.
Il Sava è un inesorabile rivelatore di ieri e dell’oggi, è quell’esperienza letteraria aggiornata che mi ha permesso di riconoscere, agendo lentamente su di me, attraverso la sua mitofonia, la voce e il suono di altri fiumi.
Il Sava, per secoli è stato il fiume di confine tra due imperi, quello ottomano e quello asburgico. Nel 1992, il ponte sul Sava venne bombardato presso Bosanska Gradiška, città di popolazione ortodossa, cattolica e musulmana e di cultura composita, cosiddetta porta della Bosnia o confine dei mondi, dai romani chiamata Servitium e menzionata da Plinio (III, 148), il mio luogo poetico: «Il fiume Sava nel religioso silenzio/ si acquietò e le voci dalle sue sponde/ si rinnovarono in quelle già vissute».
Il destino mi aveva preservato dal conoscere e vivere la guerra come accadde a tutti i miei antenati, nonni, genitori, zii, e, guardando il Sava che ingoiava i pezzi di ferro del ponte, pensavo ai versi di Ungaretti, scritti a Cotici nel 1916, nel pieno della Prima guerra mondiale: «L’Isonzo scorrendo/ mi levigava/ come un sasso./ Questo è l’Isonzo/ e qui meglio/ mi sono riconosciuto».
E poi, come i fiumi, i pensieri scorrono e, in ogni momento mi riportano all’origine della cultura occidentale che riconosco in me e del sentimentalismo slavo che sento.
Dante ha collocato nel Paradiso San Francesco che ricevette da Cristo l’ultima approvazione con le sacre stimmate, tra le valli del Tevere e dell’Arno: «Nel crudo sasso intra Tevere e Arno/ da Cristo prese l’ultimo sigillo,/ che le sue membra due anni portano». Questo andamento biblico accomuna il Tevere e l’Arno ai fiumi del paradiso, Eufrate, Nilo e Giordano che sono, al tempo stesso, materia e spirito come i fiumi Lete e Eunoè, di cui il primo toglie, a chi ne beve l’acqua, la memoria del peccato e l’altro, ravviva la memoria del bene compiuto. Dopo aver bevuto l’acqua dell’Eunoè, Dante si sente desideroso di salire alle stelle. I due fiumi da cui il poeta attinge la forza, sono una specie di mezzo magico che lo conducono verso lidi inesplorati.
L’immagine della luce sull’Arno, nella mia poesia Casa di Luzi, dedicata al poeta, evoca «le nevi che l’Arno porta seco». È l’Arno in quanto tale e anche in quanto ispirazione poetica che nel seguire il corso dell’acqua muta a seconda dei sentimenti che compaiono e si dissolvono fugaci nelle acque color fango come nelle briglie della vita.
I tre fiumi, il Sava, l’Isonzo e l’Arno, sono l’anello di congiunzione tra mondi letterari differenti solo apparentemente in quanto le loro vicende trascendono la realtà. Basti pensare che soltanto dopo aver preso i grandi fiumi, gli imperi, come quello ottomano con il Sava, si sono stanziati in Europa.
Oggi, come nel passato, il fiume nativo assume una grande importanza in quanto è parte integrante della città, è il suo polmone ed è in stretta connessione con gli avvenimenti che si raccontavano un tempo in svariate versioni, è in armonia con la sua dinamicità e il suo silenzio – a seconda delle vicissitudini personali, dell’umore del momento e della disposizione all’ascolto.
L’uomo segue la volontà dell’acqua che scorre e al contempo, crea un rapporto intimo con il suo fluire inesauribile, instaurando con esso un rapporto particolare, lo vede arrivare, andar via, scomparire, fedele a sé stesso.
Chi nasce nella città sul fiume ha l’orecchio allenato alle voci del fiume e alle sue forme prodighe di definizioni perché tra gli elementi dell’universo è il più malleabile dal nostro carattere e dal nostro umore; malinconico se ci assale la malinconia, sereno se lo è il nostro sguardo, e sempre con una naturale sincronia. Lo è perché la luce e il colore della superficie del fiume è speculare al nostro nuoto, alla nostra danza e al nostro tuffo nella vita.
E quelle volte in cui il Sava si ghiacciava, il solo pensiero era quello di non interrompere le comunicazioni con l’altra sponda, ma era giusto lasciare che anche il fiume volesse ammutolire. Ci si rassegnava alla fine, perché la volontà del fiume non si toccava, si rispettavano i suoi tempi e si raccontava, con dovizia di particolari, di un tragico sposalizio sulle slitte che scomparvero sotto il ghiaccio.
In ogni caso e in ogni dove, le tracce e l’eco del suono del fiume natio sono un nostro eterno, anche se non è dato discendere due volte nello stesso fiume, e proprio per questo, nulla è più misterioso del suo nascere, scorrere e sfociare.
È la semplice storia dei versi «di quando portavo i vestiti color fiume Sava».
Bibliografia
Dante Alighieri, La Divina Commedia, Paradiso, XI, 106-108
Stevka Šmitran, Dall’impero, Lieto colle, 2007
Giuseppe Ungaretti, Vita d’un uomo, Mondadori, 2016