Nel prossimo giugno si svolgeranno le elezioni del Parlamento europeo, sono chiamati a parteciparvi circa 400 milioni di cittadini e cittadine. I sondaggi condotti da diversi istituti demoscopici prevedono un significativo spostamento a destra degli equilibri nel nuovo parlamento, con relativi interrogativi circa le possibili maggioranze e sul peso delle componenti sovraniste nel determinarle.
In Italia il dibattito pubblico è dominato dal dilemma sulle candidature della Presidente del Consiglio dei ministri e della segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein.
Si tratta per entrambi i casi di sostituzione dell’agenda europea con la misurazione dei rapporti di forza nel Paese. Romano Prodi ha criticato questa declinazione nazionale con un giudizio severo: farsi eleggere al Parlamento europeo, o in qualsivoglia istituzione, sapendo in anticipo che non si adempierà al mandato comporta «un’erosione delle democrazia», destinata ad accentuare una distanza dei cittadini dalle istituzioni, come risulta anche dalla sostanziale elusione dei più significativi cambiamenti richiesti dai cittadini europei nella Conferenza per il Futuro dell’Europa, che concluse i suoi lavori nel maggio 2022.
In ombra, dunque, rimangono le prospettive dell’Unione Europea in un passaggio storico caratterizzato da grandi mutamenti, dal riassetto degli equilibri geopolitici al surriscaldamento climatico, all’immigrazione. E quel che più colpisce è l’opacità del pensiero politico europeista e segnatamente della sinistra europea a riguardo di questo passaggio.
Di notevole interesse, a tal proposito, l’intervista di un esponente di spicco della SPD a Strasburgo, Udo Bullmann che spiega l’ascesa in Germania di AfD, partito di estrema destra in testa nei sondaggi in diversi länder tedeschi, come il risultato di un mix di «declino economico e abbandono». Afferma, inoltre, che la sinistra non ha intercettato coloro che «si sentono trascurati, incapaci di sopportare le sfide della modernizzazione». A supporto della sua tesi, Bullman porta ad esempio i costi diseguali della transizione ecologica, chiedendosi se, pur riconoscendo la necessità della transizione ecologica «come può un operaio con una pensione modesta sopportare il costo del nuovo pannello solare o dei nuovi infissi per sostituire nelle case le caldaie a gas».
Come si può chiedere consenso al contadino tedesco se il salario minimo imposto per i lavori agricoli è di 12 euro l’ora, 17 per gli specializzati e quello della media nei Paesi dell’Est è di 5 euro?
Anche da qui la protesta dei trattori e il corteggiamento dei partiti di estrema destra alla loro rivolta antisistema e antieuropea.
La base della crisi è dunque socioeconomica e per rimediare non è sufficiente il riferimento ai valori costitutivi dell’Europa. Tutto ciò richiede riforme, a cominciare dai Trattati dell’Unione europea.
L’Atto unico europeo e il Trattato di Mastricht sancirono l’assolutizzazione della libertà economica, slegando l’attività economica dall’utilità sociale, come prevede invece l’articolo 41 della Costituzione italiana. All’epoca di Mastricht, Guido Carli, ministro del Tesoro e tra i firmatari del Trattato dichiarò: «Ho provato ripetutamente a inserire fra i criteri anche il livello di occupazione. Senza successo».
Queste asimmetrie fra libertà economica e tutele sociali rendono vani anche i controlimiti sociali di diverse Costituzioni nazionali, talvolta rimediate da sentenze della nostra Alta Corte, e dunque reclamano un’armonizzazione dei diritti.
Ancora più impegnativi gli effetti degli allargamenti ad Est dal 2004-2007, compiuti senza necessari approfondimenti. Ovvero senza riforme istituzionali, per esempio con l’eliminazione del potere di veto a favore di quello di maggioranza, ponderata fra numero degli aventi diritto al voto e popolazione. Da ciò ne è conseguito un crescente divario fra Paesi della vecchia Europa e i nuovi Paesi su livelli di tassazione con conseguente dissanguamento del nostro Stato sociale, svalorizzazione del lavoro e della sua retribuzione (nei Paesi dell’Est i salari medi sono di 300,00/400,00 euro mensili, da qui le delocalizzazioni e la disoccupazione ad Ovest).
Classe lavoratrice spiazzata, ceti medi impoveriti da leggi del mercato unico e dalla globalizzazione. Anche per questa ragione Donald Trump vinse nei distretti di Detroit e questo spiega la campagna di Bannon nelle aree industriali e operaie della Gran Bretagna della Brexit. Per dirla con Bullman, se la crisi è di natura socioeconomica, il rilancio dell’Unione europea, il suo ruolo nel nuovo assetto geopolitico, necessita della riforma dei Trattati e una nuova architettura istituzionale, costituita da tre cerchi.
Il primo, quello dell’euro, dando vita alla cooperazione rafforzata, ovvero dalla decisone volontaria degli Stati membri di mettere in comune le politiche finanziarie, della difesa, della politica estera o su quant’altro si converge. I fondamentali di questa scelta sono scritti nel documento Navigare in alto mare, scritto dal gruppo franco tedesco dei 12 saggi e pubblicato nel settembre del 2023.
Il secondo cerchio è quello composto dagli attuali 27 Paesi che devono equiparare o inserire le tutele sociali.
Il terzo definito da Macron «Comunità politica europea» e composto dai Paesi che chiedono l’adesione ma che non sono in grado di osservare gli attuali standard e per il cui raggiungimento l’Unione europea deve fornire gli aiuti finanziari necessari e l’assistenza tecnica attraverso la BERS (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo).
Da questa piattaforma può rinascere l’Europa e la sua relativa autonomia, stante le attuali alleanze. Senza il coraggio di scelte di questo livello la sua disgregazione è un rischio reale, così come rischia di diventare definitiva la sua subalternità agli Stati Uniti d’America, in una Nato che da Alleanza di difesa diviene soggetto di politica internazionale.
Progetto irrealistico? Ma cos’altro rende attuale la funzione della sinistra europea?