Non solo Covid e sofferenze

La pandemia sta attaccando non solo la nostra salute e la fiducia nei confronti di un sistema sanitario nazionale in grado, tutto sommato, negli anni passati di garantire cure per tutti. La diffusione massiccia del contagio sta mettendo a dura prova la convivenza civile di una nazione da tempo attraversata da profonde lacerazioni. La guerriglia urbana da Napoli si è subito estesa a Roma, a Torino, a Trieste. Con una violenza – è il caso del capoluogo piemontese – senza precedenti in tempi recenti. Insorgenze di massa, senza un obiettivo politico predeterminato. Con una regia occulta e mista nella quale si mescolano in varia misura interessi criminali, vagheggiamenti insurrezionali, odio verso le forze dell’ordine, risentimenti antichi e nuovi verso il generico concetto di Stato immaginato sempre come un nemico oppressore di chi sbarca il lunario.

Secondo gli investigatori, nei soli incidenti di Napoli, venerdì 23 ottobre, sarebbero coinvolte mille, forse 1200 persone che vivono nella semi-illegalità tra guaglioni dei clan, spacciatori di droga, parcheggiatori abusivi, lavoratori in nero, spicciafaccende che tirano a campare nei meandri della vita notturna. Un esercito clandestino cui nessun sussidio pubblico sarà mai in grado di ristorare il mancato guadagno.

Ogni città ha dinamiche indigene. È evidente tuttavia la lacerazione provocata dalle ultime disposizioni governative. Divieti necessari, forse altri ancora se ne aggiungeranno nei prossimi giorni. Probabilmente è l’unico modo per arginare i contagi. D’altra parte è quel che sta accadendo anche negli altri paesi europei, anche in quelli considerati modelli di efficienza e di organizzazione, a partire dalla Germania. Ma la vita economica, sociale, culturale delle nostre città è sconvolta. Questo è il dato. Mentre il sentimento diffuso non è più quello solidaristico di marzo-aprile, quando tutti fummo colti di sorpresa. E cantavamo sperando che tutto sarebbe andato bene.

No, non è andata bene e non andrà bene. Il malcontento è diffuso e accomuna svariati ceti sociali. Le violenze di piazza – da condannare senza se e senza ma – rischiano come estremo paradosso di offuscare il reale disagio sociale che oggi, purtroppo, unisce l’Italia dal Sud al Nord. Era stato previsto un autunno rovente. Per questo considero un errore semplificare la realtà riducendo a un problema di ordine pubblico i fatti degli ultimi giorni. C’è un progetto eversivo dietro le violenze, ha svelato l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, un politico serio, sempre ben informato.

Ma se fascisti, centri sociali e clan malavitosi hanno potuto così facilmente mettere a ferro e a fuoco tanto le metropoli quanto le città medie, vuol dire che l’ambigua alleanza tra forze opposte ha trovato una base sociale talmente esasperata da poter essere strumentalizzata a vantaggio di fini oscuri, ben diversi dalle ragioni pubbliche per cui sono state organizzate le manifestazioni di protesta. È il frutto avvelenato di un risentimento anti-istituzionale diffuso.

D’altra parte da troppi anni l’Italia è prigioniera di una campagna elettorale permanente volta alla delegittimazione dell’avversario. Descritto sempre come un nemico, mai come un legittimo concorrente. Lo stesso Giuseppe Conte, entrato a Palazzo Chigi sulla base del contratto populista tra M5S e Lega, guida ora una sempre più instabile alleanza tra Pd e M5S. Sette mesi fa si è fatto apprezzare dagli italiani per l’equilibrio e il buon senso, in questa nuova più difficile fase appare meno convincente. Logorato dalla debolezza della maggioranza. Proprio quando invece tocca alla politica, quella capace di visione lunga, togliere spazio ai professionisti della violenza.

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