Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, l’Italia migliore

Un epigramma greco, attribuito a Simonide, recita così: «Piange i suoi morti ognuno: or sono in lutto». Ed è esattamente la prima reazione che ho avuto quando ho saputo della morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ognuno pianga i suoi morti.

Piango, anche oggi, la morte di Paolo Borsellino, una morte che sento mi appartiene. Non l’ho mai incontrato personalmente, eppure la sua morte mi appartiene come m’appartiene la morte di un familiare. La famiglia della legalità e della giustizia, della lotta alla mafia e alla criminalità organizzata, la famiglia dell’Italia migliore. Di quegl’italiani che si riconoscono nelle parole e nei principi della Costituzione Italiana. Quella Costituzione che Paolo Borsellino e Giovanni Falcone hanno seguito, difeso e onorato fino alle estreme conseguenze.

Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, quando penso al primo non riesco a non pensare e scrivere del secondo e viceversa. Due uomini del Sud che il Sud non hanno mai abbandonato. Al Sud vivevano e dal Sud lavoravano per cambiare in meglio l’Italia e liberala per sempre dal cancro della mafia. Non ci sono riusciti fino in fondo perché la mafia, grazie anche a connivenze con la società civile e con pezzi malati e deviati dello Stato, è ancora viva e forte, ma hanno seminato molto e in profondità.

Nei giorni successivi alle stragi di Capaci e Via D’Amelio, nelle quali oltre ai due magistrati persero la vita la moglie di Falcone, Francesca Morvillo, e i tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, e ancora il caposcorta di Borsellino, Agostino Catalano e gli agenti Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, campeggiava in molte città italiane uno striscione con una frase che è diventata con il tempo un sentimento comune: «Non li avete uccisi: le loro idee camminano sulle nostre gambe».

In quel pensiero, scritto chissà da quale mano anonima, c’è il frutto del lavoro di Borsellino e Falcone. In quel pensiero c’è scritto che il loro impegno è diventato l’impegno di tanti, che il loro esempio è diventato un modo di essere e di vivere il tempo malato che abitiamo. In un libro che è diventato il suo testamento spirituale Giovanni Falcone rispondendo alle sollecitazioni di una giornalista disse: «La mafia non è invincibile. », che è una bellissima esortazione a non mollare, ognuno dalla propria postazione.

La mafia si può battere e si batte se ognuno di noi compie bene il proprio lavoro, perché non potrà essere sconfitta soltanto dalla magistratura e dalle forze dell’ordine.

In occasione di un premio intitolato a Paolo Borsellino, sua moglie Agnese inviò una lettera agli organizzatori in cui si rivolgeva ai giovani. Una lettera in cui pur ricordando la difficoltà che incontra la giustizia per affermarsi non manca l’ottimismo e la fiducia in un futuro migliore per il nostro Paese.
«Carissimi giovani, mi rivolgo a voi come ai soli in grado di raccogliere davvero il messaggio che mio marito ha lasciato, un`eredità che oggi, malgrado le terribili verità che stanno mano a mano affiorando sulla morte di mio marito, hanno raccolto i miei tre figli, di cui non posso che andare orgogliosa soprattutto perché servono quello stesso Stato che non pare avere avuto la sola colpa di non avere fatto tutto quanto era in suo potere per impedire la morte del padre. Leggendo con i miei figli (qui in ospedale dove purtroppo affronto una malattia incurabile con la dignità che la moglie di un grande uomo deve sempre avere) le notizie che si susseguono sui giornali, dopo alcuni momenti di sconforto ho continuato e continuerò a credere e rispettare le istituzioni di questo Paese, perché mi rendo conto che abbiamo il dovere di rispettarle e servirle come mio marito sino all`ultimo ci ha insegnato, non indietreggiando nemmeno un passo di fronte anche al solo sospetto di essere stato tradito da chi invece avrebbe dovuto fare quadrato attorno a lui. Io e i miei figli non ci sentiamo persone speciali, non lo saremo mai, piuttosto siamo piccolissimi dinanzi la figura di un uomo che non è voluto sfuggire alla sua condanna a morte, che ha donato davvero consapevolmente il dono più grande che Dio ci ha dato, la vita. Io non perdo la speranza in una società più giusta ed onesta, sono anzi convinta che sarete capaci di rinnovare l’attuale classe dirigente e costruire una nuova Italia, l’Italia del domani. Un caloroso abbraccio a voi tutti».

Agnese Piraino Borsellino, morì tre anni dopo la pubblicazione di questa lettera, il 5 maggio del 2013.

Il messaggio di Agnese Borsellino era quello di Paolo Borsellino, l’auspicio di rinnovare la classe dirigente per costruire una nuova Italia.

Il punto è tutto qui: rinnovare la classe dirigente del nostro Paese per voltare pagina e cominciare a scriverne di nuove e migliori.

Rispettare e rendere onore e merito alla memoria di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone significa anche questo: contribuire concretamente alla definizione e alla nascita di una nuova e migliore classe dirigente per l’Italia.

Ognuno di noi è chiamato in causa per questo. Tutti, ma proprio tutti.

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