Per sempre Pablito

Quando chiudo gli occhi e ho voglia di pensare ad una cosa bella che mi rende felice, felice come lo sono solo i bambini, vedo quasi sempre la stessa immagine. Odo, e sento (sorridere) il suono di una voce, ormai familiare, che in modo euforico ma garbato, misurato e oserei scrivere colto, dice «Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo…» e poi la figura esile di Paolo Rossi che esulta dopo un gol. Alza le braccia al cielo, chiude gli occhi, ed urla. Anche quell’urlo è euforico ma garbato, misurato, colto.

È la gioia dopo i tre gol al Brasile.

Era il 5 luglio del 1982 e lo stadio era il Sarriá di Barcellona, il sole caldo e tagliente sul rettangolo di gioco, «a las cinco de la tarde».

La partita era cominciata da cinque minuti e la palla è tra i piedi di Bruno Conti che, superato il centrocampo con finte e controfinte, cambia gioco e serve dall’altra parte del campo Cabrini. Il bell’Antonio con un stop a seguire alza la testa, vede Paolo Rossi, e con il sinistro gli serve un pallone a rientrare al limite dell’area piccola. Pablito ruba il tempo ai difensori brasiliani e colpisce di testa sul lato opposto a quello del portiere. Uno a zero per l’Italia.

Dopo venti minuti, siamo dunque al venticinquesimo del primo tempo, la palla è tra i piedi dei difensori del Brasile in fase di disimpegno che gigioneggiano e giocano per linee orizzontali. In uno di questi passaggi, tra tre difensori verde oro, s’inserisce Paolo Rossi che fa sua la palla e s’invola verso la porta difesa da Valdir Peres. È la rete del due a uno per l’Italia.

Quando mancano quindici minuti alla fine della partita il risultato è sul due a due, risultato che qualifica al turno successivo il Brasile. Siamo al minuto settantacinque e sugli sviluppi di un calcio d’angolo battuto da Bruno Conti, ancora lui, la palla giunge a Tardelli che l’indirizza versa la porta. Non è un tiro pulito, tantomeno irresistibile. Almeno non lo è fino a quando piomba sul pallone Pablito che realizza la rete del definitivo tre a due per l’Italia.

Tre gol diversi che sintetizzano e rappresentano le qualità del calciatore Paolo Rossi. Senso della posizione, velocità di esecuzione, qualità della giocata e, quello che i giornalisti sportivi definiscono, fiuto del gol.

Si può racchiudere una carriera in un solo fotogramma, con una sola partita e con una sola maglia?

Nel caso di Pablito sì e ce lo dice lui stesso nella sua autobiografia, «Mi piacerebbe si ricordassero di me con un solo fotogramma: maglia azzurra addosso, braccia aperte al cielo».

Ma torniamo in Spagna, in quella calda estate del 1982. Quando Abraham Klein, l’arbitro della partita, fischia la fine dell’incontro sapevamo che avremmo vinto quei mondiali di calcio. Certo c’erano ancora due partite da giocare, ma aver battuto l’Argentina e, soprattutto il Brasile, era la prova che eravamo i più forti del mondo.

Quell’Italia è stata la più bella di tutte e non ce ne potrà mai essere una migliore. Una squadra che seppe diventare un gruppo invincibile guidata da un uomo indimenticabile, Enzo Bearzot.

E poi Pablito, la nostra punta di diamante come anche il tabellone del Sarrià indicava a tutto il mondo: «Hombre del partido es Paolo Rossi».

Quella tripletta al Brasile rappresenta il punto più alto della sua carriera che nessun altro calciatore al mondo raggiungerà mai più.

Così «gioanbrerafucarlo», Gianni Brera il più bravo tra i giornalisti sportivi italiani, terminava il suo articolo all’indomani della vittoria mundial, «E grazie a voi, benamati brocchetti del mio tifo, benamati fratelli miei in mutande. Avevo pur detto che Paolo Rossi in trionfo è tutti noi. II terzo titolo mondiale dell’Italia non si discute come non si discutono i miracoli veri. Adios, intanto tia Espana, adios».

Faccio mie queste parole perché Pablito, pur avendo vinto molto a titolo personale e godendo dunque di gloria propria, rappresenta l’affermazione di un singolo all’interno di un gruppo. La vittoria di un singolo che valorizza tutto il gruppo.

Di lui ricorderemo certo i titoli di capocannoniere del campionato italiano, i tre gol al Brasile, il Pallone d’oro, ma soprattutto ricorderemo il suo essere la punta di diamante dell’Italia più bella e forte di tutti i tempi. Quell’Italia che non dimenticheremo mai e la cui formazione abbiamo imparato a memoria e faremmo bene a far imparare a memoria ai nostri figli e ai figli dei nostri figli.

Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Bruno Conti, Tardelli, Paolo Rossi, Antognoni, Graziani.

Allenatore, il «vecio» così come lo ribattezzò Giovanni Arpino, Enzo Bearzot.

La nazionale italiana campione del mondo in Spagna nel 1982.
In piedi da sinistra verso destra: Zoff, Antognoni, Scirea, Gentile, Collovati, Graziani.
Accosciati da sinistra verso destra: Paolo Rossi, Bruno Conti, Oriali, Cabrini, Tardelli.

 

 

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