Le vittime giungono alfine all’estrema disgrazia: annoiano
(Albert Camus)
Di fronte ad un mercato del lavoro ancora asfittico e chiuso, di fronte a tanti giovani che non riescono a trovarvi un inserimento per quanto possibile stabile, di fronte ai disagi generati da un’economia globalizzata e a un mondo dove orientarsi e fare le scelte giuste diventa un’impresa ardua, di fronte ad una figlia (la mia) che non ha mai nemmeno per un istante pensato che il suo futuro professionale possa essere nella sua regione, la Puglia, ma che il mondo cominci da Bologna in su – e non senza qualche ragione – di fronte a tutto questo ho pensato che fosse doveroso fare qualcosa, dare un piccolo contributo. Interrogarsi. Parlarne. Agire.
Quanto è importante il lavoro nella vita delle persone? Sicuramente lo è ancora molto: anche se in forme diverse rispetto al passato, continua a definire l’identità sociale degli individui.
É stato teorizzato che il lavoro risponde anche a bisogni immateriali dell’individuo, quali l’autorealizzazione, esprimere le proprie competenze e dunque il proprio sapere, sentirsi integrati in una comunità, testimoniare la propria coscienza morale e io ci credo fermamente.
Ma come è possibile riuscirci se non facciamo il lavoro che abbiamo sempre desiderato, per il quale abbiamo studiato e che amiamo?
«Il poeta deve scrivere, il musicista deve fare musica, il pittore deve dipingere, se vogliono davvero essere in pace con sé stessi» (Abraham Maslow).
Ma perché è così difficile? Il non provarci neanche non è un segno di realismo, ma solo di resa.
É una materia troppe volte affrontata con superficialità, talvolta demagogica, o con pregiudizi ideologici che non portano e non porteranno lontano. Nell’epoca declamatoria dei redditi di cittadinanza, è indispensabile fermarsi un attimo per dare credibilità, rigore e solidità scientifica ad ogni proposta.
Così, un giorno, andai a trovare Gianvito Mastroleo, Presidente della Fondazione Giuseppe Di Vagno, della quale l’Osservatorio è un’emanazione, mio amico da sempre e gliene parlai.
«Mi piace, facciamolo», mi rispose con quella sua curiosità intellettuale e freschezza che ho sempre apprezzato tantissimo. Ne parlai con il direttore Filippo Giannuzzi, anche lui mio amico, e pure lui mi incoraggiò. Ed io li ringrazio di cuore.
E così abbiamo cominciato.
Io penso che questi problemi, se affrontati con realismo e con uno sguardo sempre rivolto ai più deboli, a condizione di saper identificare con onestà intellettuale chi sono oggi i deboli, possano essere almeno in parte avviati a soluzione. Unire flessibilità e sicurezza sul lavoro è alla nostra portata. Altri Paesi lo fanno. Non penso ci siano altre strade.
Mi accompagnano in questa avventura Giuseppe Gentile, Mirella Giannini e Maurizio Del Conte, persone colte e semplici, o semplici perché colte, che ringrazio.
Sarà benvenuto, da qui in avanti, il contributo di chiunque fosse interessato.
É giunto il momento di immaginare risposte in un mondo che ci sta sfuggendo di mano, dove gli esclusi dal mondo del lavoro sono troppi e gli inclusi sono a loro volta mediamente insoddisfatti anche se intoccabili.
Per tornare ad avere il piacere di lavorare.