È possibile rendere omaggio a Piero Angela, dopo la sua recente scomparsa, in maniera dignitosa? Senza fare del moralismo usando pretestuosamente le parole del suo ultimo post sul bisogno che tutti facciano la loro parte. Senza cadere nella retorica del gigante della tv di qualità solo perché si è dedicato alla divulgazione scientifica, giudicata tutta in blocco acriticamente.
Forse si può, a patto di uscire dalla genericità e dalla superficialità, addentrandosi nelle pieghe complesse del linguaggio televisivo e della sua storia.
Cominciando dall’inizio, dagli anni in cui Angela era un giornalista e come tale ebbe un ruolo ben significativo nella costruzione dell’informazione televisiva in Italia. Dapprima come corrispondente, in quel piccolo gruppo di corrispondenti del telegiornale dalla forte personalità che, nei primi anni Sessanta, fecero uscire il Tg dalla piattezza delle precedenti edizioni. Poi, nel 1968, come conduttore dell’edizione delle 13.30, un tg mitico, il primo condotto da giornalisti e non speaker (e che giornalisti!), studio, scenografia, linguaggio e temi modernissimi. Sempre in quell’anno, nei primi giorni di giugno, fu protagonista dell’edizioni straordinarie del Tg dedicate all’assassinio di Robert Kennedy.
Qualche anno fa nel corso di un’intervista con il figlio, ricordò senza polemica ma con un pizzico di ironia che fu quella la prima maratona dell’informazione televisiva: non quella di Tito Stagno nella notte dell’allunaggio, come vuole una vulgata, né quelle di Mentana, come credono i più giovani. E fu grazie alla sua esperienza di giornalista televisivo che si dedicò alla divulgazione. Che, è bene precisarlo subito, è una cosa difficilissima in televisione dove bisogna dare forma di immagini concrete ai concetti, alle ipotesi, alle teorie. Per questo la divulgazione in tv è sempre piena di trappole e rischi, anche quando ha dei modelli alti e consolidati come quella della BBC a cui Angela sempre si ispirò.
Il rischio è quello della semplificazione (o addirittura della banalizzazione) in cui si cade per l’esigenza di essere chiari, comprensibili. La trappola è quella della spettacolarizzazione, della ricerca di immagini accattivanti, gradevoli, affascinanti a cui talvolta si sacrifica il rigore e la coerenza del discorso. Se si pensa che tutta la divulgazione di Piero Angela, pur ricca di soluzioni visive geniali, possa essere stata sempre esente da questi rischi e da queste tentazioni non gli si rende il giusto omaggio, costruendo una sorta di santino anziché approfondire il suo ruolo nella storia della tv.
Oltre ai programmi, occorre guardare al contesto in cui si collocano. E un conto è fare programmi divulgativi in un numero ridotto di puntate come quelli sul corpo umano o sul cosmo, negli anni Settanta, altra cosa è fare per tutti i decenni successivi un programma come Quark. Nel primo caso ci si trova in un contesto favorevole, quello di un periodo che, a dispetto dell’immagine solo sangue e piombo che superficialmente gli viene attribuita, in realtà è stato pieno di iniziative, di innovazioni, di riflessioni, di coinvolgimenti in tutti i settori della cultura, compresa la tv. Nel secondo caso le cose sono un po’ diverse.
Quark comincia nel 1981 quando la tv sta profondamente cambiando, le tv commerciali stanno affermando il loro modello, i gusti del pubblico si indirizzano verso altri tipi di proposta e il riscontro immediato degli ascolti diventa irrinunciabile. Ecco qui sta la grandezza di Piero Angela: nell’aver affrontato a viso aperto questo vento divenuto improvvisamente avverso, nell’aver mantenuto coerente il suo progetto in un momento in cui i progetti si sacrificavano in nome del fascino dell’effimero, nell’aver difeso un territorio che sembrava destinato a essere marginale, residuale, trasformandolo in un classico, un punto fisso della programmazione televisiva capace non solo di resistere ai flussi contrari del momento ma di approdare al secolo successivo.