Il 10 marzo 2021, i tre presidenti del Parlamento, del Consiglio e della Commissione europea hanno lanciato La Conferenza sul Futuro dell’Europa. L’idea della conferenza era stata proposta dal presidente francese Macron già nel 2019 dopo le elezioni europee. Era previsto che durasse 2 anni, aperta nel 2020 con la presidenza tedesca dell’Unione e di concludersi nel 2022 con la presidenza francese. Un piano sconvolto, dalla pandemia del Covid, ma non abbandonato benché sua durata sia stata dimezzata, quindi come previsto si concluderà durante il primo semestre 2022.
Se il progetto di Macron, appoggiato da Merkel era ambizioso, una specie di pre-conferenza intergovernativa, dopo un processo di democrazia diretta – simile nel suo spirito alla Convention citoyenne (convenzione cittadina) sul clima voluta in Francia nel 2019 dallo stesso Macron per definire la politica francese in materia – sarà in realtà limitata ad essere un vasto brain-storming. La Commissione europea, riprendendo la dichiarazione comune dei tre presidenti, precisa: «La conferenza sul futuro dell’Europa è una serie di dibattiti e discussioni avviati su iniziativa dei cittadini che consentiranno a chiunque in Europa di condividere le proprie idee e contribuire a plasmare il nostro futuro comune. La conferenza, inedita nel suo genere, è un esercizio democratico paneuropeo ambizioso, che crea un nuovo spazio pubblico per un dibattito aperto, inclusivo e trasparente con i cittadini su una serie di priorità e sfide importanti».
Tanti dubbi emergono sull’impatto reale di questo esercizio di pseudo-democrazia diretta. Pseudo-democrazia diretta perché secondo la dichiarazione congiunta, i cittadini non decideranno di niente, ma discuteranno delle sfide e le priorità dell’Ue nell’ambito dell’agenda strategico del Consiglio europeo 2019-2024. Certo avranno la possibilità – ci mancherebbe – di proporre altri temi. Tuttavia, lo scopo e la finalità sono limitati: «La Conferenza sul futuro dell’Europa aprirà un nuovo spazio di dibattito con i cittadini per affrontare le sfide e le priorità dell’Europa. Inviteremo la Conferenza a raggiungere delle conclusioni entro la primavera del 2022 in modo da fornire una guida sul futuro dell’Europa. Un meccanismo di feedback garantirà che le idee espresse durante gli eventi della Conferenza si traducano in raccomandazioni concrete per l’azione dell’UE». Non esiste la minima possibilità che le conclusioni possano condurre a una necessaria revisione dei Trattati.
Una necessità dimostrata, tra molti altri problemi, sia dalla crisi politica legata al braccio di ferro tra Ungheria, Polonia e i 25 altri membri dell’Unione per l’approvazione del programma Next Generation Europe e delle prospettive finanziare 2021-2027, sia dalla difficoltà di una gestione comune della pandemia dovuta all’assenza di una politica sanitaria europea e alla dominazione degli interessi nazionali, senza parlare delle della difficoltà di fare fronte alle sfide internazionali: difesa comune, relazioni con gli USA, Cina e Russia, gestione della crisi nel Medio-Oriente e nel Sahel, ecc.
Certo, coinvolgere i cittadini in un vasto dibattito sull’Unione non è una cattiva idea, nonostante il pessimo livello medio d’informazione di essi in materia. Tuttavia, come ha dimostrato la Convention citoyenne, il rischio di creare una frustrazione distruttrice è grande, soprattutto se le proposte non danno luogo ad azioni concrete ambiziose. Sembra molto difficile arrivare a un consenso condiviso nella selezione e nella valutazione delle proposte dei cittadini viste le differenze di opinioni sia all’interno dei Paesi, sia tra i Paesi. Per di più, saranno i presidenti della Conferenza a tirare le conclusioni e, se la Commissione riesce a trasformare alcune proposte in raccomandazioni concrete sarà il Consiglio europeo, eventualmente in co-decisione con il Parlamento, decidere se applicarle o meno.
Molti sono i dubbi che risultano della situazione politica attuale e futura dei 27 Paesi dell’Unione. Il primo problema è quello dell’assenza di condivisione dei valori fondamentali dell’Unione e della democrazia, evidenziata soprattutto dall’Ungheria e dalla Polonia, ma anche in modo minore, dalla Slovacchia o dalla Slovenia, e in secondo luogo la messa in discussione dello scopo stesso dell’Unione e delle sue competenze da parte di molti partiti nazionalisti o sovranisti. Quest’ultimi esistono con un livello alto di consensi in tutti i Paesi e sono anche al potere o in coalizione di governo con altri partiti meno estremisti. Il secondo problema è legato alla politica economica. Esisteva già, prima della pandemia, visioni opposti e conflittuale relative alla gestione dell’eurozona tra i paesi virtuosi in materia di gestione delle finanze pubbliche e i paesi con da anni una gestione allegra di esse, l’Italia in primis e questo da decenni.
Le misure di ristoro necessarie per fare fronte alle perdite di reddito di tutti i settori e lavoratori sacrificati per causa lockdown, l’esplosione dei costi dei sistemi di salute pubblica, la disoccupazione che risulterà dai numerosi ed inevitabili fallimenti di piccole e medie imprese e partita IVA, hanno prodotto e produrranno ancora, in tutti paesi, un esplosione dei deficit e del debito pubblico, particolarmente nei paesi che erano già al di fuori dei criteri fissati per i paesi dell’Eurozona. Per citarne solo due: l’Italia avrà un debito intorno al 160 % del Pil e la Francia di circa 130 %. Ci vorrebbero, per molti anni dopo il ritorno al Pil pre-pandemia, tassi di crescita di più del 3 % l’anno e una forte inflazione per ridurre tali debiti. Entrambi sono poco probabili. Non si potrà evitare una resa dei conti che, dopo due anni di restrizioni, frustrazioni, mancanza di libertà, impoverimento dei più deboli, rischia di creare una crisi dell’Unione che il piano Next Generation Ue – se arriva a buon fine – non sarà sufficiente a colmare.
Infine, il successo o il fallimento dipenderà della capacità dei capi di Stato e di governo di essere all’altezza delle aspettative dei cittadini create dall’effetto d’annuncio della Conferenza e del piano Next Generation Ue. La prospettiva di avere una maggioranza pro-europea nel Consiglio europeo e nei paesi dell’Unione, che non sia sovranista e non accanita sulle posizioni intergovernative, particolarmente in Francia, Germania e Italia è piuttosto minima.
In Germania, non si sa chi succederà a Angela Merkel come cancelliere e alla testa della CDU, non è per niente sicuro che sia il moderato e europeista Armin Laschet. Non si sa dove andrà la Germania dopo le elezioni del 21 settembre. L’8 e il 23 aprile 2022 l’elezione presidenziale deciderà della sorte di Emmanuel Macron, ma certamente non sarà facile una sua vittoria anche se rimane possibile. L’opzione di una vittoria della destra estrema non è da sottovalutare. In Italia, nonostante le qualità indubitabile di Mario Draghi e la possibilità che sia eletto presidente della Repubblica all’inizio del 2022, è poco probabile che il suo governo eteroclito tenga fino alle elezioni politiche del 2023, visto le posizioni sempre più conflittuali della Lega di Salvini, e gli inevitabili dissensi tra partiti di maggioranza quando dovranno accordarsi sulle necessarie riforme strutturali.
In questa grande incertezza e la probabilità di scomparsa, politica, nel 2022 dei grandi leader europeisti, non si sa chi, nel paesaggio politico europeo, avrebbe il carisma, il potere e il sostegno dei grandi Paesi per portare avanti un progetto di rafforzamento dell’Unione qualsiasi siano i risultati della Conferenza sul futuro dell’Europa.
Il disegno che accompagna l’articolo è di Carlos Amorin