Quale Europa dopo Turingia e Sassonia?

Il voto tedesco in Turingia e in Sassonia rivela che l’onda nera  del nazionalismo etnico «che si aggira per l’Europa» non è neutralizzata. E che gli equilibri che si vanno disegnando dopo la elezione di Ursula von der Leyen e il lavoro in corso per la nomina della nuova Commissione esecutiva non sono sufficienti per rispondere alla sfida delle destre reazionarie e razziste in Europa.

E ciò per ragioni strutturali. Manca una riconversione radicale del paradigma neoliberista (leggasi austerity) a favore di un nuovo sistema di protezione sociale. La crisi economica morde innanzitutto sulla pelle delle classi medie e delle periferie sociali, ed è proprio a questa regressione delle condizioni materiali che si rivolge la sirena del neoprotezionismo nazionalistico, gonfiato dalle grida manzoniane della invasione degli immigrati e dall’offensiva oscurantista contro i diritti dei diversi. Per colore della pelle, condizione di genere, orientamento sessuale (quest’ultimo fenomeno è stato rilevato da studi demoscopici a riguardo degli orientamenti di fasce giovanili in Germania e Austria). Pesa su tutto la situazione nefasta che affligge l’Europa in questi anni bui di guerra.

Nei land della ex DDR, per esempio, non è stato assorbito l’impatto del  tasso di cambio fra il  marco dell’ovest e quello dell’est in epoca di unificazione tedesca. Per cui se a Lipsia le condizioni generali sono migliorate rispetto ai tempi della DDR, ancora oggi il tenore di vita è venti volte inferiore a quello di Bonn e Francoforte. Il Pil reale pro capite della Germania orientale è migliorato nei trent’anni della unificazione, ma rimane del 30 % inferiore rispetto all’Ovest.

Ma più in generale quello che affligge le classi meno abbienti è l’economia di guerra, la sostituzione del welfare col warfare. Corsa al riarmo e drastica restrizione dell’approvvigionamento energetico dalla Russia, senza un’adeguata alternativa al fabbisogno nazionale. Una condizione che non riguarda, in ogni caso, solo la Germania. La guerra accentua ovunque paure, insicurezza, rabbia dei ceti popolari. Sulla guerra in Ucraina, un esponente di lunga scuola politica italiana, Goffredo Bettini sostiene che «L’Europa e l’Italia devono uscire da un certo equilibrismo diplomatico e imboccare, con la parte più avveduta del mondo cattolico e giovanile, la strada maestra della trattativa».

Se si vuole la pace si deve negoziare un compromesso col nemico.

E rivolgendosi agli Usa, «alleati sì, ma senza legarci mani e piedi; perché il mondo è multipolare, ridurlo a uno significa guerra; e noi siamo votati dalle nostre radici alla integrazione delle culture, al pensiero meridiano».

Per queste e altre ragioni non si vede come nel mainstream europeo si omologhi populismo di destra e populismo di sinistra. Per restare in Germania, perché ostilità preconcetta verso il Partito di Sahra Wagenknecht, come per Jean-Luc Mélenchon in Francia?

Nella composizione sociale del consenso a queste forze politiche non si legge il connotato popolare che altrimenti si troverebbe spazio tra le forze reazionarie? Non si legge il messaggio del giovane immigrato delle banlieue parigine, di terza generazione, che canta La Marsigliese in piazza dopo il successo del Nouveau Front Populaire, NFP?

Come può reggere una costruzione europea che perpetua la concorrenza sleale fra imprese e lavoratori dell’Est e dell’Ovest con una UE a 37 membri? Soprattutto se riflettiamo sul fatto che ad Est ci sono paradisi fiscali e salari a 300 euro al mese che sfiancano imprese e svalutano il lavoro nella vecchia Europa (In Polonia un bracciante costa 5 euro all’ora, in Germania 12).

Che fare? Abbandonare l’Est al suo destino?

Sicuramente no. Ma certo rallentarne l’adesione di nuovi Paesi fino al raggiungimento di uno standard medio su materie come fisco e salari, anche se sostenuti dall’Unione Europea. Ripensare e rivalutare la proposta di Emmanuel Macron ed Enrico Letta, Comunità europea, cerchio più largo dell’attuale Ue di cui non c’è più traccia.

Dalle ultime elezioni tedesche vi è, infine, un altro segnale da interpretare: necessità di un dialogo per un’alleanza fra tutte le forze del socialismo e della sinistra europea. Mettere fine ai giudizi liquidatori al solo fine di mantenere lo status quo, la destra si affronta e si sconfigge alle elezioni facendosi carico della protezione sociale della maggioranza dei cittadini.

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