Quei salti nel futuro di Beamon e Duplantis

Darwin Pastorin

Avevo tredici anni e seguivo in tv le Olimpiadi in Messico del 1968. Tifavo già allora per le mie due nazioni: Brasile, dove sono nato, e Italia, la patria della mia famiglia.

Ma di quei Giochi, oltre alle proteste degli afroamericani Tommie Smith (oro) e John  Carlos (bronzo), con la solidarietà dell’australiano bianco Peter Norman (argento), sul podio dei 200, mi resterà per sempre impresso il balzo del futuro dello statunitense nero Bob Beamon nel salto in lungo.

Era, il Sessantotto, un anno di utopie e sangue, di guerre e proteste, di rivoluzioni e oppressioni, con la sfida tra americani e sovietici per arrivare primi sulla luna. Quella luna che per noi ragazzi restava ancora quella di Leopardi e di Salgari, il regno della poesia e dell’avventura. Poi, arrivò Beamon a mettere insieme possibile e impossibile, a dirci che era possibile, anche nel buio, immaginare una luce per il domani. Bob, nel primo salto della finale, stabilirà il record del mondo con 8,90.

Stefano Jacomuzzi, mio professore di letteratura italiana alla facoltà di Lettere di Torino (Palazzo Nuovo), narratore e appassionato di sport, scrisse nel raccontare quell’impresa omerica: vi è in lui «una concentrazione assoluta e insieme un senso di liberazione, come di chi sta per attingere vertici inspiegabili. È la ‘grazia’ che accompagna anche il gesto atletico, lo colloca in una sorte di misticismo e di estasi».

L’Equipe Magazine titolerà: «[…] e finalmente Beamon tornò sulla terra!».

In effetti, Bob sembrava non voler scendere mai, stava in alto a dirci: «Questo dovrebbe fare l’uomo, superare i propri limiti. Non fare la guerra, non seminare odio. Ma volare, volare, verso altri orizzonti, senza le fragili ali di Icaro». Mi venne in mente, in quegli attimi, un’altra prodezza simile, ma nei fumetti: a saltare così, nove metri, è Flash Gordon, personaggio ideato da Alex Raymond nel 1934, sul pianeta Mongo. Ora era un atleta in carne e ossa a sfidare ogni barriera.

Ho rivisto Beamon ai Giochi di Parigi, tuttora in corso. Olimpiadi ricche di sorprese e di successi storici per azzurre e azzurri. Ed è nel salto con l’asta, non più nel lungo, che l’uomo è ritornato a proiettarsi nel futuro. Grazie allo svedese Armand Duplantis, un superbo fuoriclasse nella sua disciplina. Battuti senza fatica i suoi avversari, decide di stabilire il nuovo record del mondo. Da lui, va sottolineato, già battuto otto volte, l’ultima con 6,24, misura raggiunta lo scorso aprile nella Diamond League di Xiamen. I primi due tentativi vanno, seppur di poco, a vuoto. Nel terzo ecco «Mondo», come viene, giustamente, soprannominato, con assoluta serenità e bravura, raggiungere i 6,25!

Il pubblico dello Stade di France si è alzato in piedi per applaudire con calore questo marziano.

Bellezza e meraviglia dello sport, metafora assoluta e assurda dell’esistenza.

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