Rocco Schiavone, Fabio Fazio e l’inadeguatezza della destra meloniana al potere

Sul caso dell’uscita di Fabio Fazio dalla Rai per l’incompatibilità con la nuova gestione della maggioranza di destra sono già scorsi fiumi di inchiostro (come si diceva un tempo) o meglio fiumi di parole (come dicono i Jalisse). Non aggiungerei nulla alle varie considerazioni, alcune anche di buon senso, se non sottolineare una certa analogia con un altro tentativo, per ora solo minacciato e a quanto pare non andato a buon, anzi a cattivo, fine: quello che riguarda la serie Rocco Schiavone.

Come è noto, infatti, più volte il senatore Gasparri ha criticato la fiction, chiedendone l’eliminazione dai palinsesti del servizio pubblico, in quanto molto scorretta nella costruzione del personaggio di un funzionario della polizia apertamente e ripetutamente dedito al consumo di droga, le canne.

In realtà, a me pare che la questione posta un po’ schematicamente da Gasparri sia un po’ più complessa e scivolosa. Non vi è dubbio che tutta la rappresentazione delle inchieste del vicequestore Schiavone sia al di fuori, spesso all’opposto dei canoni del poliziesco tradizionale e un po’ incline all’eccesso. Anomalo è il paesaggio della città di provincia e delle montagne in un genere che ha sempre privilegiato la metropoli e recentemente lo sfondo marino e solare del cosiddetto giallo mediterraneo. Anomalo ed eccessivo è il carattere di Rocco Schiavone. Sia per il trauma che ha segnato la sua vita lo ha portato a frequentare amicizie discutibili e a incontrare nei momenti difficili il fantasma della moglie uccisa (più convincente Isabella Ragonese di Miriam Dalmazio che l’ha sostituita nell’ultima stagione). Sia per l’atteggiamento che manifesta nei confronti del mondo, degli indagati, dei testimoni, dei collaboratori e delle altre autorità.

Qui è necessaria un’osservazione specifica.

Il disprezzo per i superiori e gli alti funzionari, burocratici, attenti alla loro immagine pubblica, alla forma più che alla sostanza non scandalizza più, ormai è quasi un topos del genere poliziesco italiano, un’eco dei questori dal doppio cognome antipatici a Montalbano. Ma a differenza di quanto accadeva a Montalbano, qui il disprezzo si estende ai sottoposti, ai poliziotti, incapaci, inetti, ottusi, pasticcioni guardati da Schiavone, e quindi dallo spettatore, senza quella bonomia che Montalbano, e quindi lo spettatore, riservava a Catarella. Di fronte a questa immagine che la serie attribuisce alla Polizia di Stato, qualcuno potrebbe anche sollevare qualche dubbio, avanzare qualche riserva seriamente, se non fosse concentrato solo sulle canne.

Al di là di questi dettagli, la serie come si può evincere da quanto detto, brilla per originalità, appassiona per l’equilibrio tra la suspense prodotta dall’indagine e la commedia umana dei vari personaggi e, a quanto pare, non verrà bloccata ma continuata in una sesta stagione già in fase di realizzazione.

Resta a sorprenderci l’anatema del senatore Gasparri di cui forse la vicenda di Fazio (Fabio non l’aiutante di fiducia di Montalbano), conclusasi in modio opposto, forse riesce a chiarirci l’origine.

L’attuale maggioranza di destra nel suo affrontare il tema della cultura in generale e della Rai in particolare rivela un singolare atteggiamento: più che proporre modelli nuovi, diversi rispetto a un passato condizionato da altre egemonie non condivise, si preoccupa esclusivamente di eliminare quelle tracce, anche le più prestigiose e apprezzate. Più che dirci, almeno per ora, chi allieterà le nostre serate televisive, la preoccupazione della maggioranza è eliminare chi finora, secondo la sua visione, ha corrotto la nostra vita con le sue interviste, le sue ironie, le sue canne. Insomma, dopo aver a lungo tuonato contro la stupidità della cancel culture ora la destra sembra attratta da qualcosa che alla cancel culture assomiglia molto.

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