Le sedi della Cgil aperte e spalancate sono state la risposta più immediata e significativa all’assalto fascista della sede nazionale del sindacato, avvenuta sotto la copertura della protesta cosiddetta no vax.
Cento anni fa fu nelle Camere del lavoro che si manifestò la prima resistenza al fascismo in ascesa, quando il sindacato, le leghe, le cooperative furono assaltate in tutta Italia dagli squadristi della prima ora, e presidiate e difese da lavoratori e lavoratrici di provenienze ideologiche anche diverse, ma capaci di comprendere la necessità di un fronte unito contro la montante minaccia nera.
Esattamente un secolo fa, nell’ottobre 1921, il decreto Bonomi per il disarmo dei cittadini, applicato prevalentemente nei confronti del proletariato e delle classi lavoratrici, e disatteso sistematicamente verso le squadracce e i loro mandanti, avviava una stagione di leggi che avrebbe favorito il passaggio dallo Stato liberale al regime di Mussolini, e che avrebbe avuto il suo punto più basso nel 1925, con la cancellazione di tutte le organizzazioni e associazioni contrarie al fascismo.
Oggi, nella giornata nazionale della sicurezza sul lavoro, la riconferma del legame inscindibile fra lavoro e democrazia appare un imperativo per il sindacato, che deve dimostrarsi all’altezza del compito, superando anche una serie di limiti che nel corso degli anni ne hanno in parte depotenziato l’autorevolezza e la capacità di penetrazione e rappresentanza a sinistra.
Non sfugge il carattere trasversale dei disordini di sabato 9 ottobre, la commistione di ragioni corporative, la strumentalizzazione politica dell’ultra destra di una manifestazione che contava anche migliaia di cittadine e cittadini inconsapevoli dei propositi violenti che si sarebbero realizzati, la rivendicazione di una presunta libertà di non vaccinarsi in una situazione ancora immersa nella pandemia da covid-19, e perfino la presenza di figure di orientamento rossobruno, a complicare la composizione di un pezzo di società da anni condotto verso un sovversivismo tutto regolato dall’alto e tutto figlio di una disgregazione e parcellizzazione della politica. Ma questa eterogenea composizione, se da un lato obbliga a dei distinguo in termini di responsabilità fra leader delle più efferate organizzazioni neofasciste da un lato, e madri e padri animati dalla sincera persuasione di battersi per una causa di libertà dall’altro, tuttavia deve far riflettere proprio sulla capacità egemonica di un certo orientamento, e sulla sua mobilità e flessibilità nella catalizzazione dei più diversi dissensi, facilmente ricondotti a pratiche anti Stato, a complottismi antiscientifici, a comportamenti violenti. È proprio a questo livello che si impone un antifascismo attivo militante e capillarmente diffuso, come consapevolezza dei valori democratici e istituzionali.
Negli assalti fascisti del 1921-22 non fu certo la polizia a garantire la protezione delle sedi sindacali, fu invece la pressione popolare, mediata anche da partiti e organizzazioni, a permettere di resistere, almeno temporaneamente, alle aggressioni. Senza voler sopravvalutare il metodo delle analogie storiche, che come avverte anche Gramsci, è molto scivoloso, tuttavia vale la pena richiamare quelle esperienze, come monito ed esempio. Il caso di Parma e di tante Camere del lavoro in area padana, il caso di Roma, e anche l’aggressione subita dalla Camera del lavoro di Bari, che vide protagonisti Giuseppe Di Vittorio, Rita Maierotti e Filippo D’Agostino, ci dicono che i luoghi che organizzano democraticamente i lavoratori e le lavoratrici sono i primi obiettivi del fascismo, ci dicono che questi segnali non vanno sottovalutati e che partiti, associazioni e organizzazioni che si richiamano al fascismo devono essere sciolte senza esitazioni ulteriori, come chiede la Costituzione italiana.
Non c’è dubbio che nei prossimi giorni dovrà essere chiaro il discrimine fra le forze politiche che si schiereranno in questa direzione e quelle che hanno alimentato la crescita di Casa Pound e Forza nuova usandone anche la capacità elettorale. Ma anche le indicazioni di voto dei partiti usciti perdenti dalle consultazioni, i Cinque stelle in particolare, non potranno a questo punto prescindere dall’accaduto.
Gli arresti dei leader di Forza nuova sono certamente un passo importante verso il riconoscimento dell’urgenza degli scioglimenti, ma c’è da chiedersi se essi avrebbero avuto luogo se la risposta della Cgil non fosse stata tanto tempestiva e decisa, visto che l’identificazione della matrice politica fascista dell’aggressione ha tardato ad arrivare da parte del Governo e della polizia e perfino di certa stampa. Certamente, però, il tema dell’antifascismo come cultura unitaria dello Stato e della società torna pesantemente.
Non è cosa semplice, del resto, a una settimana dai ballottaggi, e soprattutto a Roma, dove peraltro è stata indetta una manifestazione nazionale antifascista proprio nel giorno anniversario del rastrellamento del ghetto, il 16 ottobre, e in un clima in cui una parte della comunità ebraica ha guardato finora con favore al candidato sindaco della destra, per ora il più suffragato.
Una situazione complessa che parla di disarticolazione sociale e politica, di perdita di credibilità della scienza e dei saperi esperti, di alterato senso della storia, di necessità di investimento nell’istruzione e nella formazione, e soprattutto di diseguaglianze effettive da affrontare per rimettere in piedi la rete dei legami sociali.
Ancora una volta, e sempre, la democrazia si difende dal basso, l’antifascismo la sua bandiera.