Sanzioni contro la Russia: impatto ed effetto boomerang

Thierry Vissol

USA, NATO e Ue hanno, finora, escluso l’uso di risposte militare offensive all’invasione russa dell’Ucraina, preferendo sanzioni economiche e diplomatiche all’incontro della Russia, di politici (incluso Putin) e oligarchi. Solo precauzioni difensive sono prese nel Nord-Est e Sud-Est dell’Europa, con invio di armi, aiuti umanitari e soldi all’Ucraina. Tuttavia, la situazione potrebbe cambiare, secondo l’atteggiamento della Russia verso paesi dell’Ue o della Nato.

Quindi si pone il problema di sapere se le sanzioni rinforzate – alcuni esistono già dal 2014 –saranno sufficienti per bloccare le velleità di Putin o, al contrario lo convinceranno ad approfittare della debolezza dei paesi occidentali e della loro paura di usare la forza per impedire di proseguire nel suo sogno imperiale. Sarà incoraggiato sapendo che anche lui può reagire con contromisure «simmetriche o asimmetriche» e che l’effetto boomerang delle sanzioni occidentali sui paesi europei avranno un impatto sulle popolazioni le più deboli.

Situazione economica e sociale della Russia per valutare l’impatto delle sanzioni
Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, l’Occidente era già fortemente interconnesso (a un livello che non si ritroverà prima degli anni ’70 del Novecento) e presentava numerosi punti in comune con la nostra situazione attuale. Alcuni contemporanei, come Norman Angell, la cui opera La grande illusione riscosse un notevole successo internazionale, ritenevano perfino che la mondializzazione e il nuovo ordine politico-economico che ne derivava avrebbero impedito una guerra in Europa. Dimostrava che una guerra fra le grandi potenze era una «grande illusione», soprattutto in considerazione delle interconnessioni economico-finanziarie legate al credito e che se mai fosse scoppiata una guerra, sarebbe stata breve.

Le prime misure che presero i britannici e i francesi contro la Germania furono di tagliare tutti i cavi di comunicazione sottomarini e organizzare un blocco dell’approvvigionamento dal mare. Tuttavia, le alleanze e le risorse energetiche assicuravano alla Germania una certa autonomia. Infine, la Germania era divenuta la prima potenza industriale d’Europa e la più innovative, oltre ad essere la più ricca d’Europa. Ragion per cui quelle sanzioni ebbero sì un effetto a lungo termine che però fu pagato in modo preponderante dai civili e, soprattutto, non evitò la guerra. Una situazione che ha molte similitudini con quella presente anche se la Russia del 2022 e molto diversa dalla Germania del 1914.

La prima differenza notevole è la situazione economica e demografica della Russia. Benché sia il paese più esteso del mondo (17 milioni di km²), la sua popolazione è di solo circa 147 milioni di persone. Nonostante le misure prese da Putin sin dal 2005 per favorire la natalità e l’immigrazione con un impatto positivo per qualche anno, dal 2017 il saldo tra nascita e decessi e di nuovo negativo, nel 2019 di 319.000 unita. Dal 2013, Il Pil e il Pil pro-capite si evolvono come montagne russe. Quasi dimezzato tra il 2013 e il 2016 (da 2.292,47 a 1.276,79 miliardi di $) il Pil è cresciuto di nuovo fino al 2019 (1.687,45 mrd di $) prima di cadere di nuovo nel 2020. Rappresenta solo il 1,75 % del Pil mondiale contro 2,2 % per l’Italia, il 24,7 % per gli USA e 17,4 % per la Cina. Il Pil pro-capite in parità di potere d’acquisto ha seguito lo stesso andamento ed era di 26.456,4 $ nel 2020.

La seconda differenza è la forte dipendenza della Russia per il suo sviluppo dalle sue materie prime ed energetiche. Esportatrice di petrolio e gas, così come di altri minerali e metalli, l’economia russa è molto sensibile alle oscillazioni dei prezzi mondiali delle materie prime. Di fatto, l’evoluzione temporale del suo Pil è simile all’andamento del prezzo del barile di petrolio e di quello del gas. Contrariamente all’Ue, agli USA o alla Cina, la Russia non ha una importante industria di esportazione. Questa situazione ha spinto Putin a introdurre una politica di sostituzione delle importazioni – contraria alle regole del WTO da cui fa parte dal 2012. Ha spinto fuori molti esportatori stranieri, o le ha costretti a trasferire loro produzioni in Russia. Dopo le sanzioni del 2014, ha imposto un divieto sulle importazioni di una serie di prodotti agricoli e alimentari dell’UE. Ha esteso la portata dei prodotti nell’ottobre 2017 e spinto lo sviluppo interno di questo settore, riportando la Russia al primo posto nella produzione di cereali. La Russia rimane però dipendente del resto del mondo per numerose tecnologie e prodotti anche nel campo agro-alimentare. Quindi, rimane un’economia fragile a medio lungo termine.

La terza differenza viene dallo squilibrio tra la sfera militare e quella civile. Da quando Putin è al potere ha proseguito una politica di sviluppo simile a quella del regime sovietico. Ha privilegiato lo sviluppo e la modernizzazione delle forze armate, dell’industria militare, cibernetica e spaziale con un’attenzione particolare a favore dei lavoratori di questi settori e ai militari, lasciando indietro i civili.

Il potere e il vantaggio strategico della Russia si appoggiano quindi su due settori: l’apparato militare e le materie prime, entrambi armi potenti particolarmente contro l’Ue. Nonostante i numerosi segnali inviati da Putin: l’intervento in Cecenia (1999-2009), in Georgia (2008), l’annessione della Crimea (2014), gli interventi in Siria, Libia e in Africa con le truppe del gruppo Wagner; gli europei si sono ostinati a non capire l’importanza di una unione delle loro intelligence e della difesa. Non sono in grado di inviare truppe in zone di guerra, nonostante progetti e programmi e la creazione dei cosiddetti battle group, evocati da più parti l’estate scorsa durante la drammatica vicenda dell’Afghanistan. Non solo non hanno diversificato a sufficienza il loro approvvigionamento energetico, ma hanno aumentato la dipendenza dal gas e dal petrolio provenienti dalla Russia, abbandonando risorse alternative come il carbone e il nucleare, vedi Italia e Germania.

Il commercio estero tra Russia e Ue rifletta le forze e le debolezze della Russia vis-à-vis dell’Unione e reciprocamente. Nel 2021, la Russia ha esportato per € 159,1 miliardi, e importato per € 79,4 miliardi, cioè un eccedente a suo favore di € 79,4 mld e ciò permette di finanziare, almeno in parte, una guerra. Questo commercio rappresenta il 4,8 % del totale del commercio estero dell’Ue. I beni comprati dall’Ue rappresentano il 36,5 % delle sue importazioni, il 74,8 % sono macchinari e mezzi di trasporto, prodotti chimici e manufatti. Invece per la Russia le esportazioni verso l’Ue rappresentano il 37,9% delle sue esportazioni, con il 70,6 % di gas e petrolio. Tutto ciò mentre la Russia si trovava già sotto sanzioni europee dopo l’invasione della Crimea

Interdipendenze asimmetriche
Questa situazione strutturale asimmetrica, vantaggiosa per l’Europa, è largamente compensata da una altra asimmetria vantaggiosa per la Russia: la dipendenza dell’Ue in materie prime ed energetiche. Non solo l’Ue importa circa 40 % del suo gas e 24 % del suo petrolio dalla Russia, ma ne dipende anche per molti metalli indispensabili particolarmente per il settore automobile e aereo.

Dal 2008, la Commissione europea pubblica una lista di materie prime critiche per il funzionamento dei vari settori economici, energetici e digitali dei membri dell’Unione. Questa lista è stata aggiornata nel 2020. Dei 30 elementi elencati, una gran parte è nelle mani di fornitori terzi, tra cui la Russia. Tra le più importanti, figura in primis il palladio per l’uso in dispositivi elettronici e celle a combustibile da cui la Russia controlla 45% delle esportazioni mondiali, poi il nichel e il titanio.  Nel 2019, era il terzo produttore mondiale di nichel, ma il secondo dopo la Cina per il nichel raffinato. L’impresa russa VSMPO-Avisma è il principale fornitore mondiale di titanio per l’industria aerospaziale. Poi ci sono lo scandio, l’antimonio, il carbone da coke, il germanio, l’afnio, il vanadio, lo scandio e il litio. Tutti sono indispensabili per le tecnologie moderne e le nostre industrie e disponiamo solo di «alcuni mesi di scorte».

Nel settore agro-alimentare dipendiamo della Russia per i fertilizzanti (il fosfato di roccia) e per il grano. La Russia è diventata il più grande esportatore mondiale di grano rappresentando fino al 20% del mercato mondiale e il terzo produttore mondiale.

Conviene aggiungere il rischio di perdere anche l’Ucraina come partner. Nonostante le dichiarazioni di Ursula von der Leyen, il 27 febbraio, che vede l’Ucraina come un Paese dell’Unione, niente si era mosso in tal senso nei mesi precedenti l’attacco russo. Nessuno aveva parlato di Kiev come il ventottesimo paese dell’Ue.  Comunque, l’Ucraina è legata all’Ue dal 2014 in una zona di libero scambio globale (DCFTA) completata da un Accordo di Associazione entrato in vigore nel 2017. Certo, non è un nostro grande fornitore, rappresenta solo l’1,1% del nostro commercio. Tuttavia, estrae il 5% del gallio e il 7% dello scandio del mondo e dispone di un grande potenziale: il suo sottosuolo contiene enormi riserve di materie prime come ferro, carbone, manganese e stronzio. Infine, è anche l’ottavo produttore mondiale di grano.

L’effetto boomerang delle sanzioni
Le sanzioni adottate hanno lo scopo, come precisato da Ursula von der Leyen, «di imporre alla Russia costi enormi […] costi che isoleranno ulteriormente la Russia dal sistema finanziario internazionale e dalle nostre economie». In modo particolare la decisione di escludere «un certo numero di banche russe» dal sistema internazionale di messaggistica interbancaria Swift, il più importante al mondo, «impedirà alle banche di effettuare la maggior parte delle loro transazioni finanziarie globali, e di conseguenza, le esportazioni e le importazioni russe saranno bloccate».

 Era il motivo della riluttanza di alcuni paesi, come la Germania e l’Italia, di utilizzare quest’arma, perché non solo renderebbe difficile per gli europei acquisire gas, petrolio e materie prime dalla Russia, ma ciò condurrebbe a un quasi embargo alla rovescia, evitando alla Russia di chiudere il robinetto perché lo chiuderemo noi. È per questo che Gazprombank, la terza banca russa e il principale vettore per i pagamenti esteri di petrolio e gas, non fa parte delle banche escluse da SWIFT. Ora, come lo sottolinea The Economist: «La guerra della Russia contro l’Ucraina evidenzia la prepotenza geopolitica di Gazprom. Ha indotto i prezzi del greggio Brent a salire sopra i 100 dollari al barile, il loro livello più alto dal 2014. Ha causato un’impennata dei prezzi del gas naturale, di cui la Russia è il secondo produttore mondiale».

Ovviamente queste sanzioni avranno un impatto notevole sui cittadini e sulle imprese europee. Nessuno voleva morire per Kiev e, passata l’emozione attuale della brutalità sanguinaria della Russia, non è sicuro che i cittadini accetteranno, dopo due anni di Covid, di vedere il loro tenore di vita ridursi, di avere difficoltà di spostamento, ecc… Una debolezza dell’Occidente sulla quale scommette Putin. Le prime stime d’impatto macroeconomico delle sanzioni sulle economie europee prevedono un’inflazione al circa 6 % e una riduzione del PIL di almeno un punto di percentuale per 3 anni.

L’impatto sarà anche mondiale con una crescita della domanda di materie prime non russe quindi un aumento generale dei prezzi. Il prezzo del barile del petrolio ha superato 100 dollari e potrebbe salire di più. Sono già aumentati i prezzi dell’alluminio, del nichel, del palladio, come aumentano i prezzi del grano, della soia, del mais, ecc. Imponendo un prezzo al mondo intero e, ovviamente un costo supplementare per le nostre imprese e i nostri cittadini.

Come quindi reagirà la popolazione?

Come assicurare che le sanzioni non creino punti di vulnerabilità per le nostre economie, aumentano la pressione sulle catene di approvvigionamento, già messe a dura prova dalla pandemia?

Come sostituire le forniture di materie prime, gas e petrolio russo?

Imprese e stati devono trovare fornitori alternativi. Nel campo energetico, sono stati presi contatti con altri fornitori, ma le proposte ricevute non sarebbero sufficienti a compensare il deficit causato dall’assenza di gas e petrolio russo. Con le riserve esistente gli effetti della carenza potrebbero essere rinviati solo di alcuni mesi. Gli americani propongono il loro gas di scisto ma pone un problema tecnico. Non disponiamo a sufficienza di infrastrutture per ricevere e trattare il gas naturale liquefatto statunitense e non esistono gasdotti tra USA ed Europa. Dovremo investire e questo prenderà tempo. Infine, aumenterà la nostra dipendenza geopolitica economica ed energetica verso gli USA.

L’effetto delle sanzioni sulla Russia
Come già notato, è da anni che Putin sta ristrutturando con successo la sua economia, almeno in settori strategici e finanziari per aumentare l’autonomia della Russia, facilitare la realizzazione dei suoi obiettivi di politica estera e di riconquista del suo spazio storico d’influenza.

Grazie al gas e al petrolio ha potuto costituire enormi riserve e stock d’oro, stimate in 631 miliardi di dollari (in yuan cinese e in euro e solo per il 16 % in dollari), e permesso di ridurre il suo debito al terzo delle sue riserve di cambio. Tuttavia, le sanzioni adottate contro la Banca Centrale e le transazioni sulle sue riserve potrebbero congelarne almeno la metà con effetto sulla liquidità delle banche e sul tasso di cambio del rublo. Per di più, il risparmio in dollari dei cittadini russi rappresenta 87 miliardi. L’impatto delle sanzioni sul tasso di cambio del rublo contro dollaro e potrebbe condurre i cittadini a ritirare loro risparmi dalle banche. Quindi delle sanzioni destabilizzanti.

Invece, l’esclusione del sistema di pagamento Swift potrebbe non avere l’impatto sperato. Non è un sistema di pagamento, ma solo un sistema di messaggistica molto sicuro, rapido ed efficiente. Anche WhatsApp potrebbe essere utilizzato per trasmettere messaggi finanziari e comunicare le transazioni da procedere. Mosca ha creato la sua infrastruttura finanziaria, sia per i pagamenti con la carta Mir, (equivalente di Visa e MasterCard), sia per il rating con l’agenzia Akra sia per i messaggi di trasferimenti, attraverso un sistema chiamato SPFS (Система передачи финансовых сообщений o Financial Messaging System).

Questo sistema è anche utilizzato da banche in Germania e Svizzera, un centro finanziario per le transazioni su petrolio e gas. Lo SPSF è stato istituito nel 2014 e rafforzato nel novembre 2019 da una partnership con la Bank of China. Nello stesso tempo i nuovi accordi siglati con la Cina, il 4 febbraio 2022, intendono triplicare gli scambi Russia-Cina, i quali sono stati dedollarizzati, solo il 22,7 % è pagato in dollari. Nella loro dichiarazione congiunta, Putin e Xi Jinping hanno insistito sui legami più forti tra i paesi da 70 anni così creato, affermando che «non c’erano limiti all’amicizia tra i due paesi», e «nessuna area di cooperazione proibita». Ora, la Cina dispone di un sistema di pagamento, il CIPS (Cross-Border Interbank Payment System), concorrente della Swift. Per i cinesi, l’isolamento della Russia potrebbe rappresentare un’opportunità economica per acquisire a basso prezzo materie prime ed energetiche da cui ha bisogno.

In materia d’informazione e soprattutto di internet e di social networks, indispensabili per la propaganda, la Russia è insieme alla Cina, l’unico paese che non dipende dalla buona volontà del GAFAM americano (Google, Apple, ecc.). La Cina li ha estromessi dalla sua area geografica, la Russia si è accontentata di sviluppare dei concorrenti che tengano il passo, come, per esempio, il successo di Telegram Messenger, anche in occidente.

Infine, i Russi hanno la capacità di nuocere, sia come hacker – hanno dimostrato la loro capacità in materia – sia con misure ancora più forti. Per esempio, l’esercito russo potrebbe benissimo attaccare i cavi sottomarini dedicati alle telecomunicazioni, che assicurano quasi tutti gli scambi intercontinentali. Un incubo temuto da anni dalla NATO, perché queste infrastrutture sono essenziali per l’Internet europeo e per il buon funzionamento della sua economia.

Grazie all’asse russo-cinese non è sicuro che le sanzioni adottate abbiano il pieno effetto desiderato. Per di più come nota Frédéric Dopagne, professore all’Università Cattolica di Lovanio, le sanzioni funzionano meglio quando il Paese è governato da un sistema parzialmente democratico. Invece, «È molto più difficile, se non impossibile, quando ci si scontra con una razionalità completamente diversa, un regime che non si preoccupa della sua immagine o delle difficoltà economiche dei suoi cittadini. In questo caso, non importa quante sanzioni vengano applicate, è in gran parte destinato a fallire. Questo è quello che è successo finora con la Russia di Putin, ma anche con la Birmania, la Corea del Nord e lo Zimbabwe. Perché in queste circostanze ci si trova di fronte a un dittatore che non sarà ritenuto responsabile perché non ci sono libere elezioni. È tanto più difficile farlo cedere».

Due studi sull’impatto di sanzioni contro vari Paesi confermano questo parere. La prima che copre il periodo 1945-2005 conclude che le sanzioni sono efficaci solo nel 45 % dei casi. La seconda, porta sulle sanzioni adottate dall’ONU considera che loro successo non supera il 22 % dei casi.

Conseguenze per il futuro e per l’Unione europea
Nessuno può dire quali saranno le conseguenze effettive a medio lungo termine. Tuttavia, è probabile che cambierà radicalmente la situazione geopolitica. Le sanzioni spingono verso un’alleanza sempre più stretta tra Cina e Russia e i loro alleati, anche se i cinesi fanno prova di grande prudenza fintanto che i loro interessi economici e finanziari con l’occidente rimangono così alti. Però condividono con la Russia molti aspetti sia geopolitici e ideologici che in materia di politica interna. E, rimane sospesa la questione di Taiwan. Nello stesso modo le sanzioni ci spingono di nuovo verso gli USA. Quindi, si riformerebbero due blocchi antagonisti, come durante la guerra fredda.

Il nuovo asse geopolitico Cina-Russia sta rovesciando l’equilibrio geopolitico esistente a scapito degli Stati Uniti e della democrazia, l’uno con la sua potenza economica, l’altra con le materie prime, insieme con le loro forze militari e spaziali, e il loro approccio dittatoriale, illiberale, pieno di testosterone.

Tre opzioni sono aperte all’Europa. Allinearsi con l’asse Cina-Russia, con tutte le conseguenze politiche e di libertà civili (per entrambi siamo decadenti, divisi e deboli). Allinearsi con gli USA e questo apre la strada ai conflitti (vedremo cosa succede con l’Ucraina – ma senza un intervento militare i russi continueranno – fino a dove? – e questo apre la strada all’azione militare nel Mar Cinese e a Taiwan in particolare). Costruire, sulla base deglii ultimi 72 anni e della nostra identità culturale, una vera Europa politica, economica e militare, con un forte investimento in Africa, se possibile in Medio Oriente e un’alleanza con la Turchia i cui obiettivi in Asia centrale sono in opposizione a quelli di Cina e Russia. Ciò richiede la costruzione di un vero contratto sociale europeo (moneta, politica economica, energetica e industriale, fiscalità, distribuzione, rispetto della diversità).

Non è per niente sicuro che la pandemia e la nuova situazione geopolitica, spingeranno i membri dell’Ue a saltare il fosso verso una vera e propria Unione. Certo l’Ungheria ha preso le sue distanze con la Russia e forse capito che l’Ue non assomiglia per niente al modello di Putin, cioè l’ex-URSS, una retorica condivisa da altri.

Molti stati membri accordano più fiducia al reale ombrello americano piuttosto che a un potenziale ombrello europeo. Le minacce dirette a Svezia e Finlandia, se concretizzate, potrebbero portare alla guerra. Secondo Maria Zakharova, una portavoce del ministero degli esteri russo: «La loro adesione alla Nato può avere conseguenze dannose […] e affrontare conseguenze militari e politiche».

Putin non ha mai nascosto essere pronto ad utilizzare delle armi nucleari tattiche e ha già messo in stato di allerta le sue forze nucleari. I paesi baltici hanno ragione temere di essere un prossimo bersaglio visto la loro situazione geografica, le numerose incursioni di aerei militari russi nel cielo baltico e la militarizzazione della zona di Kaliningrad e l’importanza delle loro popolazioni russofoni (26,5 % in Estonia, 26 % in Lettonia e 5,8 % in Lituania).

Popolazioni considerate dal Cremlino come «connazionali che vivono all’estero». Queste minoranze etnolinguistiche, spesso con situazioni sociali difficili, sono oggetto di un’intensa propaganda in lingua russa attraverso la radio, la televisione e Internet, con messaggi favorevoli al Cremlino. Il successo di certi canali è tale che diversi analisti notano che queste minoranze vivono in uno spazio informativo diverso rispetto al resto della popolazione dei paesi baltici. Per di più, i tre Paesi potrebbero essere facilmente isolati del resto dell’Ue: il loro unico collegamento terrestre con altri stati della NATO e dell’UE è il corridoio di Suwalki, situato sul confine polacco-lituano e lungo appena 100 km. Se uno degli obiettivi di Putin è, come sembra, quello di ritrovare le storiche zone d’influenza dell’impero russo poi dell’URSS, un tale scenario, non escluso da anni dall’intelligence americane e da Biden, è possibile.

Siamo in un periodo cruciale della storia che ci impone di agire rapidamente e con forza verso questa terza opzione, se vogliamo mantenere la nostra autonomia e la nostra civiltà.

Sperando non sia già troppo tardi.



Il disegno di apertura è di Tjeerd Royaards.
I primi due disegni in fondo all’articolo sono di Niels Bo Bojesen, il terzo di Patrick Pinter

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