Silvio Berlusconi, tutto e il contrario di tutto

Luigi Vicinanza

Mi piace ricordarlo così, con il fazzoletto tricolore annodato intorno al collo, sopra la cravatta d’ordinanza firmata Marinella e il blazer blu scuro. Circondato da anziani e increduli partigiani. Quel 25 aprile 2009 all’Aquila, diciannove giorni dopo il devastante terremoto dell’Abruzzo, Silvio Berlusconi indossò per la prima volta in vita sua il simbolo della Resistenza e della lotta al nazifascismo. Un dono imprevisto dei resistenti dell’Anpi. Accadde proprio in quella terra, in quella frazione aquilana, Onna, diventata tristemente nota perché completamente cancellata dal sisma, lì dove per mano tedesca era stata perpetrata una delle più atroci stragi di civili inermi nel giugno 1944.

Il premier-proletario parlò del 25 aprile come festa della libertà. Giornata di riconciliazione per cementare una memoria condivisa, di una storia che non gli apparteneva. Apparentemente sincero. Attore consumato. Quel giorno anche io ero presente alla manifestazione celebrativa. Una delle sue innumerevoli contorsioni politiche.

Il Cavaliere era al massimo del consenso e del potere. Con il Popolo delle libertà e i suoi alleati, Lega Nord e autonomisti siciliani, aveva sfiorato un anno prima il 47 per cento dei voti conquistando la maggioranza assoluta dei seggi sia alla Camera che al Senato. Dieci punti avanti al neonato Pd di Walter Veltroni e del suo alleato Antonio Di Pietro. Aveva la strada spianata per realizzare tutto ciò che negli anni aveva promesso agli italiani, vincitore per la terza volta, dopo l’effimero governo della discesa in campo nel 1994 e il quinquennio 2001-2006.

Era Silvio. E basta. Tutto e il contrario di tutto. Liberale e populista. Atlantista e filorusso. Innovatore e conservatore. Istituzionale e informale. Garantista ed eversivo. Vittima e carnefice. Familista e concubino. Seduttore e traditore. Bugiardo e sincero. Una cifra complessa, assommata con geniale creatività. Protagonista sempre, anche quando non ha potuto sedere a Palazzo Chigi.

Dopo la sua scomparsa, lunedì 12 giugno, è stato giustamente sottolineato come in lui si sia rispecchiata la biografia di una nazione. L’arcitaliano per eccellenza. Vero. Ma è stato persino di più. Nel suo leaderismo affabile e prepotente un’ampia maggioranza di italiani ha trovato un’identità smarrita dopo la crisi dei partiti di massa, dopo l’irrompere della globalizzazione economico-finanziaria, dopo il naufragio delle istituzioni rappresentative nate con la Costituzione antifascista. È riuscito a inventare la Seconda Repubblica senza mai modificare i principi costituzionali della Prima. Un miraggio istituzionale dietro il quale si è celato per un trentennio il più subdolo messaggio subliminale: tutto è permesso, tutto è consentito. Dentro e ancor più oltre le regole.

Occorre essere abili, determinati, spregiudicati. Chi non sta al gioco è solo un rancoroso, un invidioso. Una disarticolazione della già debole coscienza pubblica nazionale. È il suo lascito politico più ingombrante. Senza eredi, perché la sua grandezza è indiscutibile. Ma da quando perse la presidenza del consiglio nel novembre 2011, i governi e le alleanze politiche succedutesi in questa dozzina d’anni sono state il frutto di manovre di palazzo, di accordi labili, di convenienze evanescenti. Tutto è possibile, perché grazie a Silvio tutto è mutato.

Anche l’antifascismo, come in quel 25 aprile del 2009, è un orpello da indossare secondo convenienza. Oggi intanto è il giorno del lutto nazionale, dei funerali di Stato, della politica sospesa. Quella politica che immortala Berlusconi nella storia.


Il disegno che accompagna l’articolo è di Gio (Italia). Mariagrazia Quaranta, in arte Gio, vignettista satirica ha pubblicato vignette e caricature su Buduar, L’Unità, Alias de Il Manifesto, Mundiario, Fanyblog. Alcune sue opere sono state selezionate in festival nazionali e internazionali ed esposte in molte mostre collettive. Ha vinto  premi in Italia e all’estero come il Festival Internazionale di satira ed umorismo Andromeda, World Humor Awards e World Press Cartoon.

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