Sotto, sopra, dentro: 2500 anni del Centro storico di Napoli

Pasquale Belfiore

Il Centro storico di Napoli, Sito Unesco, è il quarto in Italia (1995) dopo quelli di Roma (1980), Firenze (1982) e Venezia (1987).  Poco più di mille ettari sui dodicimila totali, abitato da 350.000 persone su una popolazione poco al di sotto del milione. Ha perso il 10% di residenti negli ultimi tre decenni, ha quintuplicato negli ultimi cinque anni il numero delle residenze per turisti, triplicato quello di ristoranti, bar e pizzerie.

I valori immobiliari e il reddito medio per abitante sono di gran lunga inferiori a quelli del quartiere Chiaia-Posillipo e di gran lunga superiori a quelli della periferia. Tutto nella norma, insomma, nessuna singolarità con altri centri storici di grandi città italiane.

Costituisce parziale eccezione il fenomeno della gentrificazione che qui ha avuto un carattere apparentemente pacificato. Abitanti-proprietari hanno ceduto ad investitori locali e forestieri appartamenti e terranei per le attività legate al turismo. Librerie, commercio e artigianato storici hanno pagato il prezzo più alto, com’era ampiamente prevedibile. Non si hanno notizie sul ruolo del malaffare (camorra) che qui è più carsico che altrove, forse in omaggio alla città porosa con uno dei sottosuoli più oscuri e labirintici del mondo.

Incipit inusuale, quasi un elenco di «nudi fatti» alla maniera statistica, per evitare la retorica che quasi sempre accompagna il racconto sulla parte più aristocratica della città, urbanisticamente parlando. Quella della Napoli Nobilissima e della Magnificenza Civile che però ha sempre reclamato quella opposta della città dei lazzari, chiassosamente folclorica e vivacemente colorata. Meglio allora adottare un bianco/nero narrativo, sempre espressivo. Come le immagini di Mimmo Jodice che con l’occhio fotografico ha interpretato Napoli al pari dei grandi descrittori contemporanei, da Rea a Compagnone a Prisco a La Capria a Ramondino. Come la musica del «nero a metà» di Pino Daniele, figlio prediletto degli umori del centro storico, ricordato di recente da Oscar Buonamano su queste pagine.

Il nucleo di fondazione della città è tra i più antichi del mondo con i suoi venticinque secoli di vita. Li compirà tra quattro anni, a dar credito alla leggenda che data la nascita di Neapolis al solstizio del 21 dicembre del 475 a.C. Altre città al mondo sono di più antica formazione, ma nel tempo sono divenute siti esclusivamente archeologici. Nel centro antico di Napoli invece, la vita è sempre presente, da almeno tre millenni. Ora vita piena, ora – proprio ora, in questi decenni – più affannata.

Nel novembre 2008, un saggio di scavo archeologico nei sotterranei del complesso d’origine cinquecentesca di Sant’Andrea delle Dame porta alla luce un «terreno arato» che gli specialisti datano al primo Eneolitico, cioè a poco meno di tremila anni or sono. È la traccia antropica più remota finora trovata, un capo di filo che si riannoda alla più flagrante contemporaneità con le scoperte fatte nel corso dei lavori per la metropolitana: basamenti di templi, antichi porti, barche conservate intatte e un’infinità d’altri reperti.

Eccellente archeologia come tant’altra esistente al mondo, si dirà. È vero, ma altrove l’eccellente archeologia si vede nei musei e nei siti archeologici. Qui, a pochi metri al di «sopra» del terreno arato, c’è un centro universitario di ricerca medica di livello internazionale; a poche decine di metri al di «sotto» del tempio e del porto romani corre un’opera di ingegneria geotecnica e ferroviaria di rilevante innovazione tecnologica. (Tutt’altro discorso la sua gestione). Un intero settore del Teatro di Neapolis (I sec. a.C.) è «dentro» i palazzi dell’Anticaglia. Sarà il pezzo più pregiato e suggestivo della collezione di archeologia urbana, quando si decideranno a completarne il restauro.

Sotto, sopra, dentro. Sono gli avverbi di luogo più frequenti per descrivere il centro storico di Napoli che non ha mai cancellato del tutto le tracce della sua storia urbana. La nuova edilizia si è sempre infiltrata sotto, sopra e dentro il costruito preesistente. Lo ha riconosciuto l’Unesco che ha parlato d’una «delle più antiche città d’Europa, il cui tessuto urbano contemporaneo conserva gli elementi della sua storia ricca di avvenimenti». Tracce reali, molto più d’un palinsesto che mostra solo in filigrana la scrittura precedente. Lungo i decumani si possono leggere in concreto i principali capitoli della storia del costruito degli ultimi due millenni e mezzo, dalla Grecia, a Roma all’età moderna. La damnatio urbanistica qui è stata sempre temperata dalla tolleranza.

Per concludere, stato dell’arte del centro storico di Napoli in pochissime righe. Fase di crisi provvisoria indubbia, della città, della regione e oltre, non del solo centro storico. I termini per una ripresa: puntare su cultura e accoglienza, i drivers previsti nel Piano di gestione Unesco. Scelta felicissima, a condizione che la cultura e l’accoglienza siano ripensate con forme moderne di organizzazione. Le idee della cultura nascono qui ma si realizzano tra Roma e Milano; l’accoglienza non si può limitare ad un turismo che consuma ma non produce ricchezza. Il genetliaco dei 2500 anni di Neapolis si deve onorare con un grande programma di rigenerazione del centro storico di Napoli.

Leggi anche

Are you sure want to unlock this post?
Unlock left : 0
Are you sure want to cancel subscription?
-
00:00
00:00
Update Required Flash plugin
-
00:00
00:00