La sentenza della Corte Suprema americana sull’aborto rischia di avere effetti profondi non solo sugli Stati Uniti, ma sulle democrazie occidentali. Perché l’onda conservatrice americana potrebbe arrivare oltre oceano. Innanzi tutto, essa conferma che l’America è un Paese in guerra con se stesso, diviso politicamente, geograficamente, socialmente. Le proteste spontanee di questi giorni restituiscono l’immagine di una nazione polarizzata, attraversata da una sorta di guerra culturale che invece di placarsi s’inasprisce. E che potrebbe avere come conseguenza il declino americano.
La Corte rischia di aprire una crisi istituzionale senza precedenti in un Paese che, dopo l’assalto al Campidoglio, aveva scoperto la fragilità delle proprie strutture democratiche. Invece di confermarsi il luogo in cui la legittimità democratica americana si ricompone, trova un equilibrio che riesce a rappresentare le diverse opinioni del Paese, la Corte sembra avere assunto il ruolo di giudice politico, orientato a destra, che potrebbe farle perdere credibilità. E delegittimarla.
Anche per questo la partita non è chiusa, come ha detto il presidente Biden.
Anzi, la cancellazione di un diritto per le donne apre un nuovo, più duro confronto. In autunno, quando ci saranno le elezioni di mid term, i cittadini potrebbero dare la maggioranza ai democratici, che potrebbero varare una legge federale sull’aborto e sanare il vulnus. All’improvviso, sulla linea dello scontro tornano i diritti e soprattutto si ritrovano le donne, l’altra metà dell’America. La sentenza, quindi, inasprisce il conflitto, perché alza la posta delle elezioni. L’equilibrio costituzionale, già indebolito dopo la campagna di Trump sulle «elezioni rubate», riceve un nuovo colpo.
La Costituzione nell’arena del conflitto politico
Finora la Costituzione era rimasta estranea allo scontro politico quotidiano. Ma il processo giuridico attraverso il quale la Corte è giunta alla decisione, potrebbe trascinarla dentro il conflitto. Per sostenere che il diritto all’aborto non è previsto dalla Carta, i giudici della maggioranza hanno dovuto ricorrere a quella che i costituzionalisti definiscono la tesi dell’original intent, vale a dire il richiamo al testo originario della Costituzione, alla sua lettera.
La Costituzione americana risale al ’700, è la più antica al mondo, e questa visione, che aveva nel giudice Antonin Scalia il suo interprete più autorevole, pretende di tornare a ciò che intendevano i padri fondatori. In aperto contrasto è la concezione della Living Costitution, che invece ritiene che occorre interpretare la Costituzione, accompagnando l’evoluzione della società. Mentre per gli originalisti sono gli stati o lo stato federale a dovere guidare la società e la Corte dovrebbe rimanere un passo indietro, per l’altra visione costituzionale, invece, la Corte fa parte della forma di governo e deve affiancare il legislatore. La legittimazione della Corte, quindi, è strettamente connessa all’interpretazione della Costituzione che viene adottata.
Il problema è che la sfida sull’interpretazione spinge gli americani a ritrovarsi alle origini della scelta nazionale, quando si fondò una nazione unita, e a far riemergere le tensioni del passato. Gli americani sono posti di fronte alla decisione sui valori che devono condividere collettivamente. E proprio la Corte fa emergere la necessità di un nuovo patto costituzionale. Per decenni, in modo diverso, la Corte ha oscillato tra le due interpretazioni, ma è riuscita ad accompagnare la crescita democratica del Paese, come avvenne con la sentenza Roe contro Wade del 1970 ora cancellata. L’original intent contesta che oggi sia necessario che la Corte intervenga sulle diseguaglianze per proteggere alcuni ceti sociali. Dal diritto di voto alle persone di colore, alle libertà di espressione, ai diritti delle donne e delle minoranze, all’accesso alle università fino ai diritti sessuali, la Corte aveva garantito un equilibrio accettabile. Oggi questo equilibrio è saltato ad opera dei giudici nominati da Trump.
I giudici di nomina trumpiana sembrano voler perseguire una profonda revisione ideologica, facendo leva sulla corrente di pensiero dell’original intent.
Le ultime decisioni (tra cui quella sulle armi che abolisce leggi limitatrici dello Stato di New York in vigore da 100 anni) autorizzano a pensare che l’idea sia instaurare un nuovo ordine egemonico basato su una rilettura della Carta influenzata dalla destra radicale ed evangelista. In questo modo la Costituzione viene collocata al centro del conflitto e la Corte invece di apparire un organo di garanzia diviene un organo di parte. Del resto, i repubblicani non hanno la maggioranza al congresso almeno per ora, ma aggirano questo limite proprio attraverso la Corte. Il risultato è che di fronte a situazioni giuridiche uguali (come l’interruzione di gravidanza), vi saranno trattamenti giuridici diversi, a seconda degli stati in cui si vive.
La Corte così sembra consentire una sorta di nuova Secessione: 26 stati sono già pronti a impedire l’aborto e si avrebbe una carta geografica Usa riscritta con gli stati oceanici, quelli più popolati e più avanzati, che consentono l’aborto, e molti di quelli al centro del Paese (meno popolati e meno avanzati) che lo vietano. Le donne si ritrovano ad essere cittadine di serie B nel Paese, ma sono concretamente dimezzate in oltre metà degli stati dato che non possono decidere del proprio corpo. Il nuovo ordine egemonico sottende una tacita trasformazione dei rapporti di potere a favore dei maschi rispetto alle donne, dei bianchi rispetto alle altre etnie, dei ricchi (che possono ricorrere a cliniche private) rispetto ai poveri. La nuova egemonia è culturale e giuridica, ma investe la struttura del potere. E fa balenare una sorta di Secessione sociale dall’alto.
L’America potrebbe vivere così uno scontro politico la cui posta è la regressione civile. È abbastanza chiaro che il divieto dell’aborto confligge con la condizione di libertà ed emancipazione che gran parte delle donne americane vive oggi. L’original intent sembra voler ignorare quanto sia cambiata l’America, nello stesso tempo mette sotto accusa (qui con qualche ragione) il Congresso che non ha mai promulgato una legge federale sull’argomento. I democratici hanno sottovalutato la strategia della destra più conservatrice. Ma i dubbi non mancano anche per i repubblicani: l’ala moderata del loro elettorato (Trump ha perso anche a causa loro), rischia di non riconoscersi nella costellazione ideologica che la destra trumpiana vuole imporre, nonostante sia una minoranza agguerrita. Anzi, è proprio il pericolo di una «dittatura della minoranza» che potrebbe impensierire i moderati, gli indipendenti, e influire sulle scelte di voto.
La politicizzazione del mondo della vita
Questa vicenda mette in evidenza la trasformazione strutturale della politica che in America è venuta a maturazione più rapidamente che altrove. La complessità e la differenziazione della società hanno affiancato al sistema politico altri sistemi (economico, burocratico, sanitario, mediatico, tecnologico, scientifico etc.), organizzati e guidati da interessi, motivazioni, fini non esplicitamente politici. Questa trasformazione ha indebolito il contratto come vincolo consensuale, fondato sulla delega, sul controllo della rappresentanza e del governo. Hanno perso valore reciprocità, riconoscimento del diritto di cittadinanza, come fondamenti della società. Si è affermata quella che gli psicologi definiscono «ignoranza pluralistica», vale a dire l’idea che gli altri possano avere più informazioni su un tema e per decidere osservano il comportamento sociale, senza rendersi conto che anche gli altri seguono lo stesso metodo.
In questo ripiegamento sulla prossimità si sono consolidati «i mondi della vita», le province di significato dell’esistenza quotidiana, radicati appunto in una cerchia ristretta. I mondi della vita sono pressati, pervasi dai sistemi, ma spesso devono contrapporsi a essi per cercare di mantenere un’esistenza dotata di senso. Essi sembrano meno interessati al contratto collettivo e più inclini a definirsi individualmente in contrapposizione al potere politico. L’esito di questo processo di singolarizzazione non riguarda solo l’usura della solidarietà sociale. In realtà ciò che viene vissuto, sperimentato nelle pratiche quotidiane è diventato sempre più politico.
Per cui la maternità e l’aborto, portare una pistola, comprare un prodotto al supermercato che non inquina, il prezzo della benzina, la sicurezza dei figli a scuola, diventano problemi politici. Compiere una scelta equivale ad affermare o negare valori, passioni, appartenenze, reciprocità, condividere una socialità face-to-face. La società americana si è trovata esposta sempre più a spinte centrifughe (opposte a quelle centripete del passato) in cui i cittadini hanno cercato innanzi tutto la propria autorealizzazione, la propria identità, la propria autenticità, il proprio interesse. Questo processo ha contribuito a mettere in crisi la capacità di generalizzazione dei partiti e delle istituzioni.
La sentenza della Corte Suprema da una parte sembra amplificare questo cambiamento fluido: favorisce la frammentazione, perché dà potere ad ogni stato di regolare la materia, indebolisce la capacità della politica (già minata) di dotarsi di un profilo unitario, sintetico, di fronte alle grandi questioni. Ma dall’altra entra in contraddizione con i cittadini che avanzano una domanda di autorealizzazione e di libertà. Non dimentichiamo che la politicizzazione del mondo della vita è uno dei processi che innescano la disintermediazione politica e comunicativa, che colpisce la società contemporanea.
Le donne e la politica «costruita intorno a te»
La decisione della Corte, quindi, si potrebbe considerare come un effetto della crisi della politica americana che innesca nuovi effetti. L’individualizzazione sociale e culturale, in cui la donna perde diritti rispetto all’uomo, diventa la risposta alla crisi della democrazia.
Dunque, è una individualizzazione asimmetrica, perché l’uomo bianco sembra privilegiato, delineando una specie di «stato di natura bio-sociale», come ha scritto il professore Giorgio Grossi. La capacità di intervento sulla realtà, che attiva anche una produzione di senso (i sociologi la chiamano agency) viene messa in campo direttamente dai soggetti e non da organizzazioni collettive. L’identità proposta come antidoto allo scenario di frammentazione, che pure è cercato, è quella tradizionale religiosa. Non a caso Trump ha commentato la sentenza con un: «Dio ha deciso».
Tuttavia, c’è un aspetto che potrebbe giocare un ruolo rilevante. Più ci si avvicina alla politica della vita quotidiana, più le azioni dei cittadini possono riacquistare una valenza che non riguarda solo i singoli. E l’impegno può ottenere un nuovo significato se condiviso con altri nel quale molti potrebbero identificarsi. Alla politicizzazione dall’alto della Corte, potrebbe rispondere una auto-politicizzazione dal basso. Dopo decenni, in Usa potrebbe aprirsi una nuova stagione di mobilitazione in cui collettivo assume un senso nuovo.
Nasce qui la contraddizione della Corte: cancellare dopo decenni un diritto acquisito, non tenere conto del precedente giuridico (la sentenza degli anni ’70), saltare la realtà delle donne nella società americana, riportare indietro l’orologio del tempo sociale, rivela la volontà di potenza ideologica di una malintesa politica maschile e bianca sul sociale da parte della destra. E mentre il sociale tende invece ad auto-politicizzarsi separato dal potere. La sentenza, quindi, potrebbe riaccendere l’importanza della partecipazione, potrebbe rilanciare l’impegno condiviso.
Le donne si candidano a essere le nuove protagoniste di questa fase, difficile, incerta, ma anche ricca di possibilità. La Corte ha offerto a una larga parte dell’America la figura del Nemico. Ed è il Nemico che fonda la logica dei noi/loro cioè del conflitto politico.
Nello stesso tempo, il mondo della vita può far riscoprire proprio attraverso le donne, e tramite loro alla società, quella che, riprendendo un famoso slogan pubblicitario, potrebbe essere definita come la politica «costruita intorno a te», in cui l’autodeterminazione personale, il fai da te dei singoli, i bisogni, il vissuto, le differenze, le appartenenze diventano la parola d’ordine per costruire una rinnovata «democrazia collettiva degli individui». Costretta dalla Corte, l’America affronta questa sfida. In bilico tra declino e risveglio.