È una fase davvero senza precedenti per le questioni ambientali e per l’ambientalismo. A mettere assieme le notizie di questi mesi il cambio è evidente: gli investimenti green sono al centro delle politiche europee, le imprese riempiono le pagine pubblicitarie dei giornali con i loro impegni climatici, i grandi fondi di investimento hanno alzato l’asticella della tassonomia ambientale per gli investimenti.
Anche sul fronte politico sono successe diverse cose rilevanti: dall’elezione di Biden negli Stati Uniti con il rientro nell’Accordo di Parigi sul clima alla scelta dell’Europa di mettere la chiave ambientale al centro del grande programma di rilancio post Covid Next Generation Ue, per arrivare all’Italia con l’impegno europeista e ambientalista del nuovo governo Draghi, che per la prima volta ha scelto nelle consultazioni di ascoltare anche Legambiente, WWF e Greenpeace.
Tutto bene dunque? La storia è oramai segnata nella direzione della transizione ecologica?
Non proprio, a partire dalla distanza abissale che rimane tra impegni sul clima e quanto ci vorrebbe per evitare che questo secolo diventi quello della catastrofe climatica, con una temperatura cresciuta di 3-4 gradi con conseguenze devastanti per il pianeta.
L’ambientalismo si trova in tutto il mondo di fronte a un esame di maturità, nel momento in cui è entrato nel mainstream e deve dimostrare che la transizione ecologica può diventare la stella polare del rilancio in ogni parte del pianeta.
Quali sono le sfide?
Questo scenario di cambiamento ambientale può creare opportunità economiche e occupazionali positive, migliorando la qualità della vita delle persone con soluzioni innovative per la mobilità nelle città e nel modo di autoprodurci e scambiare energia pulita, nella qualità e salubrità del cibo che mangiamo, nella produzione di beni e in una loro gestione più intelligente. Questo scenario potrebbe riguardare solo una parte della popolazione, quella più ricca e informata di queste opportunità, come già vediamo nell’accesso all’auto elettrica o agli interventi di efficienza energetica. Il rischio è che si amplino le differenze tra chi potrà cogliere i vantaggi di questa transizione e i tanti che hanno visto peggiorare la propria situazione dopo la crisi finanziaria del 2008 e quella del Covid 2020, che hanno cancellato milioni di posti di lavoro.
Già oggi sono i più poveri, anche in Italia, a subire i maggiori impatti dei cambiamenti climatici in particolare durante le ondate di calore – che incidono statisticamente sulla parte di popolazione più anziana e povera, senza aria condizionata – e in caso di alluvioni, perché abitano in periferie e territori in cui mancano le fogne o la manutenzione. Serviranno non solo politiche innovative ma anche attente a ridurre la divaricazione sociale cresciuta in questi anni tra chi si può permettere di cambiare e chi rischia di pagare di più per i servizi, la casa in cui vive e per muoversi, senza vedere alcun miglioramento e con anche il rischio di perdere il lavoro.
Alcune aree del Paese rischiano di stare ai margini di processi di rilancio che la prospettiva green sta aprendo. Nel giro di pochi anni si arriverà alla chiusura di centrali a carbone e a olio combustibile in alcuni territori – da Porto Torres a Brindisi, da La Spezia a Civitavecchia solo per citare le più grandi – e i rapidi cambiamenti nelle produzioni industriali legate alla maggiore attenzione ai temi ambientali obbligherà molte imprese a ripensare e in alcuni casi a chiudere le proprie produzioni, con conseguenze sul lavoro e le comunità di alcune aree del Paese.
Inoltre, in un settore che ha potenzialità enormi nel nostro Paese come il turismo, si rischia di non cogliere le opportunità di attrarre flussi nazionali e internazionali che cercano l’intreccio di cultura e natura, paesaggi e buon cibo che caratterizzano il nostro territorio, in particolare le sue aree interne. Perché non sono accessibili, o privi dei servizi essenziali, o perché processi di degrado legati all’abusivismo edilizio o alla dismissione industriale lasciano molti di questi territori senza speranza. L’ambientalismo dovrà stare attento a fare in modo che le politiche guardino a come rilanciare i diversi territori, a far capire che non basta avere risorse da investire con il Recovery Plan bisogna anche individuare idee nuove per restituire una speranza di futuro ai diversi territori.
L’Italia continua ad essere il secondo Paese manifatturiero d’Europa ma ha subito una contrazione dal 2008 rilevante, con 80mila imprese che hanno chiuso e un milione di posti di lavoro persi, e la pandemia sta già mostrando i suoi impatti con una contrazione del Pil senza precedenti nel dopoguerra.
Bisognerà aiutare il nostro tessuto di imprese a competere in un contesto che sarà molto diverso da oggi e nel quale la decarbonizzazione energetica e la circolarità nella gestione delle risorse sarà fondamentale nella competizione internazionale. Tutti gli studi e i dati confermano che in questi anni si è divaricata la distanza tra i settori e le imprese che hanno scelto di investire sulla sostenibilità ambientale.
La chiave green può aiutare ad uscire da questa situazione attraverso investimenti che permettono di ridurre i consumi energetici nei cicli produttivi e a ridurre il consumo di materie, ma anche coinvolgendo le grandi imprese a controllo pubblico nei processi di innovazione e ricerca strategici nei prossimi anni (dallo storage alle bioraffinerie, dalla digitalizzazione nei processi produttivi all’eolico off shore galleggiante ecc.). Le risorse europee possono permettere di affrontare le situazioni di crisi industriale in modo nuovo, consentendo un salto di scala nella ricerca e nella formazione dei lavoratori, e nell’accompagnare la nascita di nuove attività o il reshoring di imprese attraverso un ruolo più incisivo delle risorse di BEI e di Cdp.
Sono i dati a confermare quanto possa essere positiva questa direzione di sviluppo dove si tiene assieme qualità e innovazione: dal riciclo all’efficienza energetica dal turismo di qualità all’agricoltura biologica. Sono questi anche gli ambiti dove le possibilità di sviluppo di nuova e buona imprenditoria sono particolarmente promettenti, se vengono eliminati gli ostacoli che inibiscono questo grande potenziale, soprattutto da parte dei giovani e delle donne. Le scelte su questi temi faranno la differenza tra un Paese capace di scommettere sul futuro, capace di puntare su ricerca e innovazione, qualità e sostenibilità come medicina per il rilancio dell’economia dopo la terribile pandemia.