Di che Europa noi, noi italiani, abbiamo bisogno? Basta guardarsi intorno per capirlo.
Nel 1970 il nostro prodotto lordo era il settimo del mondo e davanti avevamo Usa e Urss, Germania, Giappone, Francia e Regno Unito. Oggi siamo ottavi, l’Urss non c’è più, al posto numero due c’è la Cina e al sesto posto c’è l’India. E domani? Nel 2050 avremo davanti a noi anche l’Indonesia, il Brasile, il Messico e l’Egitto e nel 2075 anche la Nigeria e il Pakistan e non li avremo davanti solo noi ma anche la Germania e il Giappone, la Francia e il Regno Unito. Intanto, qui ed oggi, dobbiamo misurarci con la politica aggressiva della Russia, con il duello Usa Cina per il primato, con il conflitto mediorientale tra sciti e sunniti, Israele e Palestina.
Mentre nell’Africa ricca di materie prime esplode la demografia e Cina e Russia allargano le loro aree di influenza. Mentre nel mondo prende piede uno spirito antioccidentale che sovrappone la modernizzazione e la perdita d’identità con l’influenza dell’Occidente.
Noi italiani, che materie prime non abbiamo, che non abbiamo primati tecnologici da mettere sul tavolo del potere, con i nostri 58 milioni di abitanti che diventeranno 53 nel 2050, che potere contrattuale pensiamo di avere in questo mondo che va frantumandosi? Che deve affrontare la crisi climatica e la transizione digitale, l’intelligenza artificiale e la manipolazione genetica?
Abbiamo una fortuna però, non siamo soli. Siamo in una famiglia di paesi nessuno dei quali, neanche la Germania, ha da solo la forza demografica, economica, strategica per difendere nel modo migliore i suoi interessi. Gli interessi di ciascuno e di tutti li possiamo difendere efficacemente solo insieme perché solo insieme abbiamo il peso per farlo.
Possiamo, ad alcune condizioni però. A condizione che l’economia europea riacquisti la competitività perduta attraverso l’innovazione. Perché, se l’Europa non è potente e competitiva economicamente non solo non potremo garantirci il tenore di vita e la tutela dei diritti civili e sociali, ma non potrà sostenere la seconda condizione, che è quella di pesare strategicamente, di contare sullo scacchiere internazionale, di far pesare non solo i suoi interessi ma anche i suoi valori. Tutto questo vuol dire avere una difesa e una politica estera adeguate. E, premessa sia alla prima condizione, quella della competitività economica, che alla seconda, quella del peso strategico, deve soddisfare una terza condizione: avere una architettura istituzionale adeguata, una governance che le consenta di avere capacità di decisione, una voce sola e forte e risorse adeguate.
L’Europa di oggi non ci basta per tutelare i nostri interessi, quelli di noi italiani e dei greci, dei tedeschi, degli spagnoli e di tutti gli altri. Ci vuole una Europa che abbia più potere formata da paesi che siano capaci consapevolmente di condividerlo invece che di reclamarlo. È la strada che questa lettura del contesto ci indica.
Sarebbe interessante sapere su quale lettura del contesto, su quali prospettive, previsioni, analisi, si basa invece la posizione di coloro che propugnano un’Europa più debole. Sarebbe interessante capire sulla base di quale analisi un’Europa più debole e i singoli paesi ognuno per proprio conto potrebbero più efficacemente tutelare gli interessi di ciascuno e di tutti.
Non siamo soddisfatti dell’Europa che abbiamo, dovremmo impegnarci perché acquisti le capacità di produrre i beni comuni dei quali abbiamo bisogno e che probabilmente sarebbero utili al mondo intero. Piuttosto che tenerci strette le nostre reboanti impotenze dovremmo impegnarci con serietà, determinazione, continuità e responsabilità per pesare di più in una Bruxelles che vogliamo conti di più.