Un mondo a parte, la scuola e i paesi dell’Appennino

Ancora una volta occorre  chiarire un equivoco che i vari discorsi fioriti attorno al film hanno creato. Dunque, a differenza di ciò che si sarebbe portati a credere in base alle belle e generose parole pronunciate in tv da Antonio Albanese sull’eroismo degli insegnanti, Un mondo a parte non è un film sulla scuola. Il tema è un altro, è quello dei piccoli borghi italiani, del loro spopolamento e della loro scomparsa.

Un tema difficile, arduo da trattare al cinema molto più di quello scolastico, dell’educazione. Anche perché è privo di una tradizione, di modelli. I film di ambientazione scolastica sono ormai molti, di vario genere e qualità, dalle sublimi rappresentazioni di Truffaut in giù. La questione della scomparsa dei villaggi montani, assai dibattuta a livello politico e sociologico, ha avuto poche occasioni di dar vita a  racconti cinematografici. Ci prova, con un certo sprezzo del pericolo, Riccardo Milani, un autore ultimamente molto prolifico e reduce da una serie di prove felici (il film su Gigi Riva più di tutte).  E lo fa usando la scuola come  pretesto o, meglio, come punto di riferimento della storia.

La scuola è quello di Opi, nome reale di un piccolo comune abruzzese, che rischia di chiudere perché la sua unica pluriclasse nel prossimo anno scolastico non ha più il numero di iscritti richiesto dalle norme ministeriali. La morte della scuola, unica realtà viva, in grado di attrarre verso il borgo qualche famiglia, significa la morte del piccolo paese. Per scongiurarla intervengono i due eroi della vicenda: il maestro Michele che si è appena trasferito lì da Roma in cerca di aria buona (non solo dal punto di vista atmosferico), ben interpretato da Antonio Albanese e la vicepreside, nata e cresciuta in quei luoghi, Agnese, a cui presta simpatia, fascino, e tutto quello che a un’insegnate si  può chiedere, una Virginia Raffaele strepitosa, a dimostrazione che, quando una sceneggiatura la sorregge e non è costretta ad andare continuamente sopra le righe, è un fior di attrice.

La battaglia tra i due eroi e i numerosi avversari mette in scena situazione e personaggi tipici e prevedibili della commedia italiana con qualche intento satirico. Tra un comandante dei carabinieri  dai comportamenti non proprio cristallini, un marito fedifrago, una dirigente scolastica burocratica e insensibile al vero bene comune, un parroco interessato soprattutto alle esigenze economiche della sua chiesa, un bidello dalle scarpe grosse e cervello fino, la vicenda trova il lieto fine grazie all’intervento provvidenziale di un alunno assai esperto in hackeraggio.

Una soluzione poco credibile ma che aiuta a ricordarci come il registro del film non sia quello realistico ma quello fiabesco. Il che non gli impedisce di trattare il suo tema centrale con la necessaria profondità e consapevolezza della complessità.

Lo fa, per esempio, attraverso lo scontro tra i due insegnanti e i genitori dell’unico giovane rimasto nel «natio borgo selvaggio» a coltivare la terra in modo alternativo. Sono loro a ricordare che il desiderio di fuga non è un capriccio, un’offesa alle proprie origini ma una necessità, insomma che il problema è complesso e che la visione bucolica che i cittadini metropolitani hanno della montagna è un inganno.

Infine, anche la soluzione del problema scolastico che arriva grazie al reclutamento fittizio ma forse destinato a concretizzarsi di immigrati ucraini e non solo, pur nella sua improvvisazione da lieto fine della fiaba, propone un certo riferimento alla realtà più attuale e significativa. Personalmente la leggo come un omaggio al modello Riace e all’attività di Mimmo Lucano.  Quanto al finale-finale, con tanto di scivolata nella versione sentimentale della commedia, certo siamo di fronte alla più prevedibile delle soluzioni. Ma diciamo la verità: quando Michele decide di tornare indietro per riabbracciare Agnese e poi coinvolgere nell’abbraccio tutti i bambini, mentre la voce fuori campo di Ivan Graziani canta Agnese dolce Agnese, bè’ una mezza lacrimuccia nessuno ha potuta evitarla.

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