Scordatevi lanciafiamme, cafoni, cinghiali e mezzepippe. No, non troverete traccia di quella effervescente narrazione cui neppure l’imitazione di Crozza è in grado di tener testa. Preparatevi invece a ragionare in compagnia di Papa Francesco, Edgar Morin, Carl Schmitt, Sigmund Freud e, anche se relegato in minoranza, di Antonio Gramsci. E incontrerete pure Francesco De Sanctis e Giosuè Carducci.
Un Pantheon autorevole e affollato fa da sfondo al nuovo corso politico intrapreso dal governatore della Campania Vincenzo De Luca. Prevalenza di pensatori di cultura liberale e liberal-democratica, un solo marxista, Gramsci appunto, il fondatore cent’anni fa di quel partito comunista che fu, in giovinezza, anche il partito di De Luca.
Una svolta teorica e culturale con un obiettivo preciso: provare a ipotizzare, partendo proprio dal Mezzogiorno, una nuova forza politica in grado di riunire nello stesso campo tutte le forze democratiche e riformiste presenti sulla scena nazionale.
Un partito democratico. Ma non come l’attuale Pd che – a dire di De Luca – racchiude il peggio della tradizione comunista, centralismo burocratico, e il peggio della tradizione democristiana, correntismo sfrenato. No, De Luca immagina un partito democratico all’americana dove possano convivere anime molto diverse tra di loro, come lo sono Hillary Clinton e Alexandria Ocasio-Cortez. Porte aperte, dunque, anche a ciò che resta del Movimento 5 stelle sempre più dilaniato tra i fedeli di «Giuseppi» Conte e gli eretici di «Giggino» Di Maio: «Non c’è da rallegrarsi della loro deriva. Sarebbe utile recuperare una parte almeno di quelle speranze di rinnovamento che hanno investito la società italiana – ragiona De Luca – Sarebbe utile e necessario avviare un percorso costituente, per arrivare alla costruzione di un’unica grande forza riformista in Italia. Ci vorrebbe tempo. Ma sarebbe un progetto in grado di ricreare entusiasmi collettivi».
Chiarito che non si candida a esserne il leader nazionale («Ė in atto nel Pd, da parte di Letta, un tentativo da sostenere»), De Luca si vede nella veste del costituente. Un obiettivo, quello di un nuovo partito riformista, destinato a mettere in discussione la prassi quotidiana dell’attuale Pd. Non è un mistero che De Luca e i vertici romani non si amino. Lui prima a Salerno e poi in tutta la Campania è radicato da tre decenni; un consenso popolare che non può essere ribaltato in una colpa.
Anzi. Nel 2020 ha sfiorato il 70 per cento, sufficiente per risultare eletto anche senza i voti del Pd (che ottenne il 17 per cento). Dei confratelli dem dice che parlano una lingua simile all’aramaico antico e ne elenca così i difetti: contenuti programmatici non percepibili; gruppi dirigenti, salvo poche eccezioni, costituiti da anime morte; residui di ideologismi e indecisionismo permanente; inconcludenza su temi chiave come quelli della sicurezza e della giustizia; perdita di ogni ispirazione meridionalista… Scusate se è poco. Ci sono tutti gli ingredienti affinché la svolta deluchiana renda ancora più calda l’estate politica sull’asse Roma-Napoli-Salerno.
Il ragionamento del governatore si cala nel pieno della crisi internazionale provocata dall’invasione russa dell’Ucraina e dal progressivo sfilacciamento delle istituzioni democratiche non solo in Italia, ma in tutto l’Occidente. L’assalto al Campidoglio di Washington il 6 gennaio 2021, capeggiato dallo sconfitto Donald Trump, può essere preso come emblema di un percorso storico che dalla democrazia occidentale ha condotto all’iper-democrazia e alla post-democrazia.
«È diventato evidente, sulla base delle vicende di questi tempi, che la democrazia è una costruzione storica e dunque non acquisita per sempre. Non solo perché rimane ancor oggi una forma di governo minoritaria nel mondo, ma perché ė investita, un po’ ovunque, da una crisi di legittimità».
È la parte più innovativa del suo pensiero. Uno sforzo per ridare contenuti al dibattito pubblico. Se le nostre democrazie si mostrano stanche, è urgente ricreare «un democrazia che decide, che si legittima non per le parole che dice, ma per i risultati e le politiche di vita che produce».
Se nel ’900 la costruzione dello stato sociale è stata la principale conquista nei Paesi dell’Europa occidentale, quell’edificio è stato terremotato con l’avvento del nuovo millennio. In un mondo profondamente cambiato, è possibile creare un nuovo stato sociale?
Alcune indicazioni per De Luca sono chiare, a partire dalla centralità del tema del lavoro e della piena occupazione. «Occorre riproporre l’obiettivo di un piano del lavoro per centinaia di migliaia di giovani da impegnare nella pubblica amministrazione per ringiovanirla e riqualificarla: non c’è sviluppo produttivo-industriale senza apparati pubblici efficienti». La battaglia contro la burocrazia è infatti uno dei chiodi fissi del presidente della Regione Campania sin da quando era sindaco di Salerno. «I tempi di decisione burocratica sono incompatibili con i tempi dell’economia». Propone di eliminare i mille e mille pareri e autorizzazioni, spesso o inutili o vessatori. Cita l’Italo Calvino de Le città invisibili: «Obbligata a restare immobile e uguale a sé stessa per essere meglio ricordata, Zora languì, si disfece e scomparve. La terra l’ha dimenticata». Ecco, per De Luca la città di Zora è la metafora dell’Italia.
Altri temi a lui cari sono la sicurezza e la giustizia, su cui sottolinea i ritardi e gli impacci della sinistra. «La sicurezza è un’esigenza primaria, al punto che cresce la percentuale di cittadini pronti a rinunciare a quote di libertà in cambio della serenità di vita». Sulla magistratura, dice che «nessun potere può essere privo di responsabilità», neppure quello dei giudici.
Infine, ma non per ultimo, il Mezzogiorno d’Italia. De Luca si chiede se il Sud sia ancora una priorità condivisa sul piano politico-ideale. «Fa rabbia pensare alla determinazione con cui la classe dirigente tedesca ha affrontato, e sostanzialmente risolto, il problema della Germania ex comunista. Ma si può davvero immaginare di fermare il declino dell’Italia cancellando dall’agenda politica il problema del Sud?».
Più che una domanda è l’annuncio di una battaglia politica. Che si intreccia con la battaglia delle idee. Perché per rinnovare la politica – è l’esperimento tentato da De Luca – bisogna ripartire da un pensiero rinnovato.
Per chi vuole approfondire
Vincenzo De Luca, La democrazia al bivio. Fra guerra, giustizia e palude burocratica, Guida editori