USA e censura delle vignette satiriche

La punta dell’iceberg di una democrazia moribonda

Thierry Vissol

Gli Stati Uniti sono spesso considerati (soprattutto dagli americani) come il Paese con la più ampia libertà di espressione e di pubblicazione, garantita dal primo emendamento della Costituzione introdotto nel 1791: «Il Congresso non potrà fare alcuna legge che riguardi l’istituzione di una religione, o che proibisca il libero esercizio della stessa; o che impedisca la libertà di parola, o di stampa; o il diritto dei cittadini di riunirsi pacificamente, o di presentare petizioni al Governo per la riparazione delle loro rimostranze». Questa libertà è stata amplificata da una sentenza della Corte Soprema: New York Times versus Sullivan (1964). La sentenza stabilisce che «i personaggi pubblici possono vincere una causa contro un organo di informazione solo se si può dimostrare che l’organo di informazione ha pubblicato informazioni sapendo che erano completamente false o che ha avuto una “sconsiderata noncuranza” della verità».

Tuttavia, molti limiti sono stati introditti a questa libertà di espressione per motivi di sicurezza nazionale (durante il maccartismo, le guerre e dopo gli attentati del 9 settembre del 2001). Questo spiega perché, secondo il World Press Freedom Index 2024 di Reporter senza Frontiere (RSF), gli Stati Uniti siano al 55° posto nella classifica della libertà di stampa. (l’Italia è 46°, la Francia 21°, i 10 primi sono Norvegia, Danimarca, Svezia, Paesi Bassi, Finlandia, Estonia, Portogallo, Irlanda, Svizzera e Germania).

Contesto e stato delle cose
All’inizio del secolo scorso, negli Stati Uniti c’erano più di 2.000 vignettisti stipendiati a pieno tempo nella stampa; «alla fine del secolo scorso, negli Stati Uniti, c’erano circa 1.800 quotidiani e 150 vignettisti stipendiati; oggi, ci sono 1.400 quotidiani e 24 vignettisti stipendiati da un giornale». Ci sono più vignettisti in Iran che in America.

Questa situazione non è dovuta solo alla crisi della carta stampata, anche se questa è una concausa importante, ma al drenaggio delle risorse pubblicitarie che per la stampa tradizionale sono scese da 50 miliardi di dollari del 2005 a 10 miliardi del 2020. Il numero di giornalisti è sceso da 116.000 nel 2002 a 50.000 nel 2023. Tuttavia, questa condizione deriva soprattutto dell’aumento delle frontiere invisibili costruite nel tempo recente, a uno spostamento ristrettivo delle «linee rosse» che separano ciò che è tollerato da ciò che non lo è.

In generale, infatti, i vignettisti di stampa mettono in evidenza le debolezze dei leader, deridono le inadeguatezze dei governi, le malvagità e gli eccessi dei poteri economici, finanziari e religiosi, o l’ipocrisia insita in determinati modi di pensare e di comportarsi. Per farlo, ricorrono alla satira, che per definizione significa esagerazione, eccesso, caricatura ironica, a volte volgarità e rappresentazione di argomenti considerati da alcuni come tabù. Le vignette politiche sono luogo di lotta politica e sociale, e quindi possono suscitare sentimenti di indignazione, in parte irrazionali, e di offesa, non meno irrazionali e spesso dovuti all’incomprensione della vignetta e del suo contesto.

Una buona vignetta combina l’immediatezza dell’immagine, l’esagerazione della satira con il potere disarmante dell’umorismo, il che può essere considerato un effetto sovversivo.

Il potere di scherno politico e di evidenziaziare ironicamente le contraddizioni e l’irrazionalità di alcuni comportamenti politici o sociali può avere un impatto duraturo sulle percezioni e sugli atteggiamenti dei cittadini, il che spiega per molti detentori di potere (la rete ne è uno) la necessità di creare dei confini visibili o invisibili.

Frontiere visibili e frontiere invisibili
Naturalmente negli USA e in qualsiasi altro Paese, i vignettisti di stampa, come tutti altri giornalisti, sono tenuti a rispettare le legislazioni che regolano la libertà di espressione e di stampa, i cui contorni sono più o meno restrittivi a seconda del Paese, compresi quelli che hanno ratificato le convenzioni internazionali o europee (ONU, articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948; Consiglio d’Europa, articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950; UE, articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali adottata nel 2000 e incorporata nel Trattato di Roma nel 2009).

Leggi e convenzioni internazionali sono i confini visibili. In altre parole, quelle tracciate tra ciò che è permesso e ciò che non lo è, dalla legge e dalla giurisprudenza (siano esse derivanti dal diritto consuetudinario o dal diritto positivo). Altri confini, che definirei confini invisibili, si tracciano al di fuori della legge o ai suoi margini (a seconda di come viene interpretata). Esse derivano da norme extragiudiziali: dalla persistenza di tabù, di riflessi culturali (come il machismo e il misoginismo, ad esempio), di norme socioculturali o religiose e dal potere di potenti che siano politici, religiosi, militari, miliardari, gruppi di pressione.

Ecco qualche esempio di repressioni nascoste, di frontiere invisibili.
Da parte dei poteri economici, quello che si può chiamare «market censorship» la censura dei mercati, cioè l’uso di poteri economici e finanziari per impedire la pubblicazione, censurare o mettere a tacere le critiche. È abbastanza facile per un miliardario comprare una piattaforma media e poter così modificare la sua linea editoriale.

Da parte di poteri politici, usando per esempio i controlli fiscali o minacce giuridiche gli SLAPP (Strategic Lawsuits Against Public Participation, cioè una molestia legale e un abuso del sistema giudiziario), o altri tipi di intoppi amministrativi. I governi non sono i soli ad utilizzare gli SLAPP, quest’ultimo è anche un metodo particolarmente apprezzato dai poteri economici che non hanno un potere sui media.

La cosiddetta «cultura dell’annullamento» (altrimenti detto il politicamente corretto), emersa negli Stati Uniti negli anni Venti, eredità del calvinismo e del puritanesimo, amplifica sotto forma di frontiere invisibili, ma ben reali, le frontiere visibili delle legislazioni contro il razzismo e la xenofobia. Solo negli Stati Uniti, «terra di libertà», l’arte e la letteratura considerati suvversivi o offesi alla morale di alcuni gruppi sono stati presi di mira per essere sistematicamente distrutti dalle élite al potere e dai «guardiani della cultura o del politically correct».

Infine, la censura operata dagli algoritmi sui social network e su internet è più sconcertante e pericolosa della censura tradizionale operata dagli Stati. Gli utenti, soprattuto giornalisti e vignettisti, sono soggetti a shadow banning (il bando furtivo) e filter bubble (bolla di filtri).

Con X, Facebook, Tik Tok, e tutti gli altri social media è facile per pochi imbecilli arrabbiati sembrare migliaia di lettori arrabbiati pronti a bruciare un giornale per una vignetta. Gli editori si adeguano e licenziano il loro vignettista su richiesta di persone che non sono neanche abbonate al giornale.

Vignettisti e giornalisti devono perciò fare i conti anche con le incomprensioni, i disaccordi e le reazioni violente che inondano le piattaforme online, soprattutto perché queste reazioni possono essere amplificate da troll e chat bot. C’è anche un chiaro desiderio di causare danni o di usare negativamente le vignette per promuovere un’agenda o affermare una particolare visione del mondo, accusando i vignettisti di mancanza di rispetto, di blasfemia, di odio, di razzismo, di machismo, di post-colonialismo o di oscenità.

La violenza online non è solo virtuale, ma può sfociare in violenza reale, come all’estremo è stato dimostrato dal massacro dei vignettisti di Charlie Hebdo nel gennaio 2015. Questa violenza può essere più sottile ma comunque molto reale: insulti, minacce, denunce, calunnie. In questi casi la paura domina le redazioni e conduce anche molti vignettisti all’autocensura.

La decisione degli oligarchi del tech, proprietari dei social network, come Musk (X) e Zuckerberg (Facebook, Istagram, WhatsApp) di eliminare i meccanismi di fact-checking dalle loro reti e la loro intenzione chiaramente e pubblicamente annunciata di eliminare le legislazioni vincolanti in questo settore, in particolare le direttive e i regolamenti europei, non contribuirà certo alla libertà di espressione politica. Al contrario, daranno libero sfogo a tutte le teorie cospirative, anche alle critiche infondate o di parte contro le vignette satiriche politiche che potrebbero danneggiarle, senza, ovviamente negarsi la possibilità di censurarle.

Detengono un potere ben superiore a quello di qualsiasi governo. Si calcola che quasi la metà dell’investimento globale in pubblicità – stiamo parlando di mille miliardi di dollari nel 2024 – venga oggi acquisita da Alphabet, Amazon e Meta, e che quasi due terzi dell’investimento globale finiscano comunque online. Questo drenaggio di risorse mette in crisi la stampa quotidiana e periodica, sta azzerando la stampa quotidiana locale e negli Stati Uniti obbliga le emittenti televisive a una competizione spesso impari con le grandi piattaforme di streaming.

Imagini, vignette satiriche e frontiere invisibili
Da 40.000 anni
, con l’arte del paleolitico superiore, è attraverso l’immagine che i gruppi umani costruiscono la loro visione del mondo. Le immagini evidenziano il modo con cui gli individui e i gruppi stabiliscono diversi modi di pensare sé stessi e di costruire la propria identità (di sé e, per opposizione, degli altri). Questi pensieri su sé stessi e sugli altri sono il supporto per i miti, le religioni e le credenze di cui le immagini sono la materializzazione.

Come lo notava il famoso storico dell’arte Ernst Gombrich, “The cartoonist Armoury” (in South Atlantic Quarterly, Volume 62, issue 2, Spring 1963, Duke University), leader politici, religiosi, militari, economici e dei movimenti sociali sanno che, per rimanere al potere, le icone e i simboli sono importanti quanto i canoni. Nella misura in cui il potere si basa sull’immaginario collettivo, è sempre vulnerabile a modi alternativi di immaginare. È per questo che le vignette satiriche sono una potente arma simbolica.

L’etnografia ci dice che l’accesso alle immagini e la loro comprensione sono sempre, e ovunque socialmente controllati provocando la creazione di linee rosse da non superare.

Di fatto, se l’occhio riceve le informazioni e le trasmette al cervello secondo un meccanismo fisiologico universale (visione), per parte sua, il cervello le tratta in relazione ad altre informazioni correnti o memorizzate (percezione o interpretazione).
Il riconoscimento e l’identificazione del soggetto proposto in un’immagine sono quindi controllati dalle convenzioni di rappresentazione, dal livello di conoscenza degli osservatori e dalla loro esperienza personale, e dall’influenza culturale della percezione visiva. L’osservatore vede e riconosce ciò che ha imparato a identificare o ciò che un’autorità nella quale ha fiducia lo convice di capire.

Sappiamo che l’arte, e la vignetta satirica aldilà dell’aspetto giornalistico è arte, costituisce una forma di espressione dell’identità sociale e una comunicazione del modo di vivere culturale.

Gli Stati Uniti e le frontiere nella satira
Come evidenziato da un rapporto dalla Herbert Block Foundation (creata nel 2001 per incoraggiare l’arte della vignetta editoriale di stampa) e confermato dall’American Association of Editorial Cartoonists (AAEC), in un secolo, il numero di posti a pieno tempo di vignettisti di stampa negli Stati Uniti è passato da 2.000 a circa 25, con un’età superiore a 55 anni. Molte sono le ragioni di questa ecatombe, ma lo spostamento restrittivo della linea rossa, delle frontiere, ne è sicuramente uno dei principali, particolarmente dall’inizio del millenio.

Ecco alcuni esempi recenti:
Nel 2015 il Los Angeles Times, la cui società madre era stata acquistata dal fondo pensioni del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, ha licenziato Ted Rall per fare un favore a un capo della polizia permaloso perché arrabbiato per le sue vignette. Nel 2018, lo stesso giornale ha licenziato il vignettista David Horsey per avere preso in giro Sarah Huckabee Sanders, governatore dell’Arkansas;
Giugno 2018: Il Pittsburgh Post-Gazette licenzia Rob Rogers, un veterano di 25 anni, per aver disegnato vignette che prendevano in giro il presidente Donald Trump;
Gennaio 2019: Steve Benson, vincitore del premio Pulitzer, è stato licenziato dall’Arizona Republic dopo tre decenni di servizio;
Maggio 2019: Gatehouse Media licenzia tre vignettisti nello stesso giorno: Nate Beeler del Columbus Dispatch, Rick McKee dell’Augusta Chronicle e Mark Streeter del Savannah Morning News;
Nel 2022, Gannett, la più grande catena americana, con più di 200 giornali, ha dichiarato che i suoi giornali offrirrebero solo un paio di giorni alla settimana pagine di opinione, perché non erano molto lette e che i sondaggi dimostravano che i lettori non volevano ricevere lezioni. Questo significa anche meno spazio per le vignette pubblicate, appunto, nelle pagine di opinione;
Luglio 2023: tre vignettisti, vincitori del Pulitzer Price, sono stati licenziati dai giornali della catena McClatchy: Jack Ohman (del California Sacramento Bee), Joel Pett (del Lexington Herald-Leader in Kentucky), entrambi stipendiati da loro giornali, e Kevin Siers (free-lance del Charlotte Observer in North Carolina);
La stessa catena McClatchy, che possiede 30 giornali statunitensi e opera in 14 Stati, ha dichiarato che non pubblicherà più vignette editoriali;
Il penultimo vignettista stipendiato dal Whashington Post, Tom Toles ha preso la sua pensione nel 2020. Dal 2022, l’editore politico del Post, David Shipley, insiedato da Jeff Bezos, ha ampiamente sostituito le vignette politiche con una rotazione di vignette gag patetiche e poco divertenti che non sono affatto politiche. L’ultima vignettista satirica, che appariva regolarmente, Ann Telnaes, è stata costreta alla dismissione dopo la censura di una sua vignetta satirica sugli oligarchi del tech, il 4 gennaio 2025;
Il 90% dei giornali di proprietà della Berkshire Hathaway di Warren Buffett non impiegano vignettisti;
Siti di notizie come Huffington Post, Salon, Slate e Vox sono eredi dei giornali cartacei. Nessuno impiega vignettisti.

Tuttavia, il caso da manuale, quello che ha largamente contribuito alla costruzione delle frontiere invisibili, è quello del New York Times.

Il New York Times, considerato (da se stesso) un modello internazionale di giornalismo e promotore della libertà di stampa (anche se già in gennaio 2015, dopo l’attento a Charlie Hebdo è stato l’unico grande giornale a rifiutare di pubblicare qualsiasi vignetta o copertina del settimanale francese), ha pubblicato, il 25 aprile 2019, una vignetta dell’artista portoghese Antonio Antunes che criticava la politica del Presidente Trump in Israele, dopo la sua decisione di spostare la capitale di Israele a Gerusalemme.

Dopo il buzz negativo sui social networks creato da gruppi di pressione ebraici, ha cancellato la vignetta dai suoi siti, licenziato il capo editore in carica e i suoi due vignettisti stipendiati. Per di più ha deciso di non pubblicare più vignette satiriche e di chiudere il sito dove vignettisti di tutto il mondo proponevano i loro disegni, inventando così una nuova forma di censura: «l’autocensura preventiva» secondo l’espressione di Patrick Chappatte, uno dei due vignettisti licenziati.

Uno dei vignettisti di stampa ancora attivo in America, Kal (Kevin Kallaugher), vignettista del Baltimore Sun e del settimanale inglese The Economist, ha magistralmente reso visibile le frontiere invisibili del NYT e dei suoi seguaci.

In questo disegno un uomo vestito in frac, con i piedi piantati in due vasi da fiori con la parola arroganza sul primo e sul secondo codardia, dichiara solennemente: «Noi, custodi della nostra amata civiltà al New York Times, non troviamo il nostro umorismo irriverente e gli scarabocchi infantili degni delle nostre stimate pagine… Le nostre fragili ossa e i nostri occhi delicati non possono più sopportare la vostra satira. Perciò li eliminiamo tutti immediatamente. Ora sapete da che parte stiamo».

Tra i seguaci del NYT, anche se non americano, possiamo citare il gruppo di stampa canadese Brunswick News Inc. perché dimostra la potenza delle frontiere (in doppio senso) che possono creare il potere politico ed economico dell’America. Nel luglio 2019, il Brunswick News ha licenziato il suo vignettista canadese, Michael de Adder, colpevole di aver pubblicato una vignetta critica della politica migratoria di Trump. La vignetta mostrava il presidente Trump che giocava a golf e ignorando i corpi morti di due migranti messicani, Martinez Ramirez e sua figlia Valeria di 23 mesi, a faccia in giù, annegati che provavano a raggiungere gli USA attraverso il Rio Grande. E, l’8 ottobre 2024 è stato mandato via dal Chronicle Herald per il quale lavorava da 27 anni.

Il caso del New York Times e dell’evoluzione della censura, delle frontiere visibili o invisibili, cristallizza tutte le difficoltà della professione: censura politica, economica e religiosa, sensibilità pseudo-morale travolta da polemiche di gruppi di pressione, dei trolls e dei bot sui social network. Un fenomeno che si propaga anche in Europa, perché come spesso capita seguiamo i movimenti nati in America con qualche anno di ritardo: sempre più organi di stampa si arrendono alla paura di possibili tempeste virtuali, di rischi di terrorismo o di contromisure dei governi.

Nel suo rapporto del 2020, World Press Freedom Index, l’associazione Reporters Senza Frontiere (RSF) scriveva: «Entriamo in un decennio decisivo per il giornalismo. I prossimi dieci anni saranno cruciali per la libertà di stampa a causa delle crisi convergenti che interessano il futuro del giornalismo: una crisi geopolitica (dovuta all’aggressività dei regimi autoritari), una crisi tecnologica (dovuta alla mancanza di garanzie democratiche), una crisi democratica (dovuta alla polarizzazione e alle politiche repressive), una crisi di fiducia (dovuta al sospetto e persino all’odio per i media) e una crisi economica (che impoverisce il giornalismo di qualità)».

Vista l’esperienza passata, durante il primo mandato di Donald Trump, è facile immaginare di cosa sarà capace l’accoppiata Trump-Musk in termini di modifica dei confini visibili e invisibili.

Il primo, poiché deterrà tutti i poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario), e detiene già una serie di contropoteri (Fox News, ad esempio e adesso Il Washington Post, tramite Jeff Bezos). Potrà effettuare, senza ostacoli, i cosiddetti «rapimenti costituzionali». Con la Corte Suprema e il Congresso piegati alle sue idee, potrà, per esempio, fare annulare la sentenza NYT vs Sullivan del 1964, come ha fatto per l’aborto.
Il secondo, Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo e il nuovo padrone delle riforme in America, è già in grado, grazie al suo potere finanziario, di intimidire, comprare o censurare qualsiasi media, giornalista o vignettista e anche governi, un potere che potrà rafforzare e amplifiare grazie al suo ruolo politico.

A questi due protagonisti si possono aggiungere alcuni dei futuri ministri di Trump (se il Senato approva la loro nomina) come il prossimo Ministro della Giustizia Pam Bondi, un’acuta procuratrice trumpania che non sarà meno efficace del suo efemero predecessore Matt Gaetz nel mettere in riga i giudici, per evitare che Trump venga coinvolto. Al contrario, sarà ancora più brava a ripulire il terreno giudiziario. Ma si possono anche citare il prossimo Segretario alla Difesa, Pete Hegseth, giornalista della Fox News; Robert Kennedy jr, prossimo Segretario alla Salute; Kristi Noem, sconosciuta governatrice del Sud Dakota, alla testa del Dipartimento per la Sicurezza Interna; Tulsi Gabbard, ex-membro del partito democratico fino al 2022 per poi sostenere Trump nel 2024, direttrice dell’Intelligence nazionale; Chris Wright, CEO di Liberty Energy, la seconda più grande società di fratturazione idraulica del Nord America, noto per le sue campagne negazioniste sul clima, nominato Segretario per l’Energia; Susan Wiles, capo gabinetto di Trump. Quasi tutti sono conosciuti per le loro posizioni ideologiche estreme e dichiarazioni polarizzanti.

Ma non sarano meno pericolosi anche altri responsabili, perché senza essere ministri avranno un potere importante sui media. Penso in particolare a Brendan Carr nominato direttore del FCC (Federal Communications Commission regolatore dei Telecom US), già nominato da Trump nel 2017 Commissario alla FCC e conosciuto come un «difensore della libertà di parola» con un’interpretazione creativa del primo emendamento della Costituzione. Donald Trump l’ha presentato nel comunicato stampa con cui ha annunciato la sua nomina domenica 17 novembre 2024 come «Un guerriero per la libertà di parola […] porrà fine all’assalto normativo che ha paralizzato i creatori di posti di lavoro e gli innovatori americani e garantirà che la FCC risponda alle aspettative dell’America rurale».

Sostenuto da Elon Musk, Brendan Carr ha reagito su X: «Dobbiamo smantellare il cartello della censura […] e ripristinare il diritto degli americani alla libertà di parola, Facebook, Google, Apple, Microsoft e altri hanno svolto un ruolo centrale nel cartello della censura», (dichiarazione di venerdì 15 novembre 2024, sempre su X).

Non è stupefacente che Zuckenberg abbia annunciato due settimane prima della sua entrata in funzione, la soppressione del fact-checking sulla rete di META. Carr nella stessa dichiarazione ha aggiunto: «L’organizzazione orwelliana chiamata NewsGuard, insieme ai gruppi di fact-checking e alle agenzie pubblicitarie, hanno contribuito a imporre narrazioni unilaterali. Il cartello della censura deve essere smantellato». NewsGuard, fondata nel 2018 e presente in molti Paesi, tra cui l’Italia, è una delle aziende più efficaci nella caccia alla disinformazione e alle fake news online e a quelle generate dall’AI.

Brendan Carr è anche l’autore del capitolo sulle telecomunicazioni del Progetto 2025, un documento di quasi 900 pagine redatto dal think tank conservatore Heritage Foundation e, nonostante le timide negazioni di Trump durante la sua campagnia, costituirà, una tabella di marcia per la revisione dello Stato federale sotto la sua Presidenza. In materia di media, il progetto precisa: «Ci accaniremo contro le persone che lavorano nei media».

Nell’era dell’interconnessione, mentre viviamo in un mondo di immagini, l’arte della satira e dell’impertinenza è diventata più difficile e rischiosa mentre costituisce una delle caratteristiche della nostra cultura Occidentale, da Esopo e Aristofane in poi. È urgente imparare di nuovo a ridere di noi stessi con la distanza e l’intelligenza del pensiero critico, per affrontare i mali del nostro tempo e delle nostre fragili democrazie.

Ma questo richiede educazione e cultura. Se il riconoscimento e l’identificazione del soggetto proposto in un’immagine sono controllati dalle convenzioni di rappresentazione, lo sono soprattutto dal livello di conoscenza degli osservatori e della loro capacità di comprendere metafore e ironia. Une battaglia che non ha più molte possibilità di essere vinta e che prefigura e annuncia il disfacimento delle nostre democrazie.

 


La vignetta che accompagna l’artico è di KAP (Spagna), I doganieri delle frontiere invisibili


Antonio Antunes (Portogalo), Nex York Times_Pax canina
KAL (USA), Elenco delle frontiere invisibili secondo il NYT
Rayma (Venezuela), Vignettisti sotto sorveglianza
LECTRR (Belgio), Rendi di nuovo facile il fumetto
RAMSES (Cuba), Paure e minacce per i vignettisti

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