Vittoria, la poetessa

Vittoria Colonna è tra i personaggi più autorevoli del Rinascimento italiano. Una mostra fiorentina alla Fondazione Casa Buonarroti, (Vittoria Colonna e Michelangelo, Piera Ragionieri, Firenze, Mandragora 2005) ha evidenziato i pochi studi letterari a lei dedicati. Vittoria Colonna scrive poesie d’amore e religiose, in un ambito petrarchesco ben governato da scrittori canonici (Pietro Bembo soprattutto), a cui le altre poetesse del XVI secolo si sottomettono. La figura di questa donna-poeta rimane sfuggente anche nell’immagine: la più certa è nel convento di Sant’Antonio a Ischia, tavola di anonimo meridionale del XVI secolo in cui è raffigurata la Madonna delle Grazie tra le donatrici Costanza d’Avalos e Vittoria Colonna: lei è in ginocchio, il volto incorniciato da lunghe trecce rosse e una veste damascata in armonia con il colore dei capelli.

Vittoria Colonna nasce nel castello di Marino nel 1490, figlia di Fabrizio Colonna e di Agnese di Montefeltro; trascorre la prima infanzia nel palazzo-fortezza di Marino: la famiglia dei Colonna è fedele alla Spagna, in lotta contro gli Orsini e contro Alessandro VI Borgia, alleato dei francesi, che nel 1501 li scomunica bandendoli dallo Stato Pontificio e ordinando la distruzione dei loro palazzi a Roma. I Colonna si trasferiscono a Napoli, ospiti degli Aragona, poi la famiglia d’Avalos li accoglie a Ischia, il paradiso in cui Vittoria cresce, promessa sposa di Francesco Ferrante d’Avalos. I fanciulli vivono insieme nel castello, sotto l’occhio amorevole della governatrice, duchessa Costanza d’Avalos. Le nozze avvengono nel 1509.

Nel 1512 Ferrante segue Fabrizio Colonna nella guerra tra francesi e spagnoli. Vittoria torna a Ischia con Costanza e il piccolo Alfonso del Vasto, cugino di Ferrante, che accudisce con amore materno. Ferrante si salva dalla prigionia dopo la battaglia di Ravenna, grazie al cardinale Ippolito d’Este e a Lucrezia Borgia, duchessa di Ferrara. Morirà nella battaglia di Pavia (1525). Vittoria si volge con mistica dedizione alla poesia. Nel 1520 ha conosciuto Pietro Bembo, Baldesar Castiglione, Jacopo Sadoleto. Nel 1527, dopo il sacco dei Lanzichenecchi, aiuta il popolo romano e guadagna la fiducia di papa Clemente VII. Frequenta un circolo di riflessione evangelica, nato dalla predicazione di Giovanni Valdés. Nel 1531 appoggia i cappuccini per il rinnovamento della Chiesa, il ritorno alla povertà francescana e alla predicazione evangelica. Nel 1534 i cappuccini sono cacciati da Roma. Vittoria, che vive tra Roma e Ischia, si crea una piccola corte di seguaci: i cardinali Reginald Pole, Gaspare Contarini, Pietro Bembo. Il Bembo e Vittoria moriranno nel medesimo anno, 1547, a un mese l’uno dall’altra.

Nel 1545 Paolo III convoca il Concilio di Trento. L’Inquisizione guarda con sospetto gli innovatori, alcune lettere di Vittoria a Giulia Gonzaga sono considerate prove di eresia nicodemista: la morte la salverà dalla condanna dell’Inquisizione; molti amici sono inquisiti, Vittoria sarà condannata in memoria e in absentia. Accanto a Vittoria morente si trova Michelangelo, conosciuto nel 1538 a Roma. Con lui Vittoria ha scambiato lettere e poesie con una dedizione che esprime profonda amicizia. Ritratti diretti e indiretti svelano la Colonna nell’arte di Michelangelo, lettere e sonetti di Vittoria sono colmi anche di quest’amicizia. La donna serba però una visione intatta dell’amore verso il marito. Una canzone del 1512 lo esprime più di tutte le altre poesie dedicate a Ferrante: «Se vittoria volevi, io t’era appresso, ma tu lasciando me lasciasti lei». La morte di Ferrante avvia Vittoria verso una serena disperazione, un culto folle di quel sole scomparso che desidera raggiungere al più presto.

Il mondo è finito con la scomparsa dell’amato: un delirio da fine del mondo, come quello di Dante nella Vita Nova. Vittoria trasforma la poesia in teologia: essere assunti in cielo con il proprio corpo è un miracolo più grande del cammino opposto: una donna assunta in Cielo è più di un Dio che si fa uomo; basandosi sul modello dantesco della Madonna, Vittoria prega di essere assunta in Cielo in nome dell’amore per un uomo divenuto santo. La Marchesa di Pescara per letterati e artisti raggiunge quella funzione di Beatrice a cui aspirava da giovane sposa. Una soggezione amorosa lega Michelangelo a Vittoria. Ora è lei la Maestra, sperimentatrice di novità poetico-religiose. Le poesie di lui sono incentrate sulla bellezza, sugli occhi di Vittoria come quelle di Dante per Beatrice; egli vede in lei «Un uomo in una donna, anzi uno dio». Si appoggia a lei, sua donna-angelo.

Vittoria è al centro: al centro della poesia femminile e delle corti in cui si propugna la riforma cattolica in risposta a quella protestante. Così la vedrà allontanarsi Michelangelo, che ne ha seguito il percorso: la sua poesia, da dialogo drammatico con se stessa, si è trasformata in un teatro di passione che la rappresenta in tutto il mondo.

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A questo tema Giusi Baldissone ha dedicato due libri, Il nome delle donne. Modelli letterari e metamorfosi storiche tra Lucrezia, Beatrice e le Muse di Montale (Franco Angeli, Milano 2005) e Nomi femminili e destini letterari (Franco Angeli, Milano 2008).

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